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Intervista esclusiva a Riccardo Iacona



Dopo aver ottenuto la laurea in discipline dello spettacolo all'Università di Bologna diviene aiuto regista sia per il cinema che la televisione. Dal 1987 inizia a lavorare per Rai Tre, e collaborerà  con Michele Santoro in Samarcanda, Il Rosso e il nero e Temporeale, poi in Circus e Sciuscià. Giornalista d’inchiesta ricordiamo le trasmissioni, trasmesse da Rai Tre, su varie realtà cruciali della vita italiana. Nel 2008 ha realizzato due reportage sulla guerra in Afghanistan e sulla guerra del Kosovo. Dal 2009 su Rai Tre in prima serata sono andati in onda dei cicli di trasmissioni di Presa diretta, trasmissione che ha sempre affrontato le più pressanti tematiche sociali e politiche del nostro Paese: è del febbraio 2013 la puntata di Presa diretta sui femminicidi dal titolo Se questi sono gli uomini.


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Come mai, pur essendoci numeri impressionanti di donne uccise, questo problema non è nell'agenda di nessun uomo politico

Perché questo è un paese ostile alle donne, verrebbe da dire, che non riconosce che c'è una tematica che si chiama questione femminile e perché mettere nell'agenda politica la violenza di genere significa 

da una parte 

un'assunzione di responsabilità, e dall'altra riconoscere che, dietro la questione della sottomissione della donna che origina questa tragedia endemica nel nostro paese e che è alla base di tanti omicidi, ci sono questioni di potere più grandi. Poi anche perché la classe dirigente di questo Paese (anche se ultimamente vediamo che ci sono più donne in Parlamento) è stata sempre prevalentemente maschile e in un certo senso complice di questa sottomissione.


Anche la stampa, quasi sempre presenta i femminicidi come semplici fatti di cronaca nera e non pone il problema da un punto di vista sociale che riguarda la cultura di questo paese e non solo la cronaca nera.


Ultimamente ho letto qualcosa di meglio, ogni tanto c'è anche qualche approfondimento sui giornali, sono tante le colleghe giornaliste, i colleghi un po' di meno, che riflettono su questi casi con un po' più di senso e cercando di capire quello che succede e che cosa ci stanno gridando queste povere donne uccise, una ogni tre giorni. Quando presento il libro (Se questi sono gli uomini, ndr) spesso faccio questo esempio. Quando ero ragazzo e lavoravo a Samarcanda, Michele Santoro mi mandava in giro a raccontare gli omicidi di mafia, solo che a quel tempo non venivano chiamati "omicidi di mafia" era violenza generica perché la classe dirigente non riconosceva l'esistenza della mafia e le persone che vivevano intorno, sapendo il potere che aveva la mafia, stavano attente a dire una parola in più. Oggi, grazie anche a molti morti e a tante battaglie politiche e giornalistiche, quando viene ucciso un ragazzo a Scampia tutti sanno, anche chi abita a Milano, che quella è una morte mafiosa. Lo stesso percorso bisogna farlo per le donne uccise: bisogna tornare a dargli un nome. Mettere questi casi nella cronaca nera è come se le si uccidesse una seconda volta, schiacciando la motivazione di quella morte tutta nella relazione, come una storia d'amore andata male. Se invece si va a vedere lo spessore politico che hanno queste storie ci si rende conto che le donne che vengono uccise non sono le più deboli (quelle non vengono uccise perché sottostanno alla violenza), quelle uccise sono donne che, ognuna in modo diverso, a un certo punto della loro storia hanno detto basta. Volevano la libertà: e questo fatto cambia la prospettiva.

Quale cambiamento sociologico o psicologico porta a questi delitti: che cosa è cambiato nell'uomo?

Poco. Il punto è questo, secondo me e parlo da cronista, non da studioso, da uno che ha visto le scene del delitto utilizzando uno sguardo più profondo, per quanto sono capace di fare, per mettere insieme queste storie cercando di capire che cosa stia succedendo nel nostro paese. Queste non sono storie del passato, sono storie del futuro. Non sono pezzi d'Italia in bianco e nero che ancora sopravvivono, ma è proprio perché la donna vuole essere sempre più indipendente e autonoma che aumentano gli omicidi in assenza di politiche atte ad arginare questi fenomeni e a prevenire gli omicidi. Dico questo perché la maggioranza delle donne uccise stanno al centro-nord, e sono tutte storie di donne forti che a un certo punto hanno detto al loro uomo: basta non ti voglio più vedere o l'hanno denunciato. Perché è sul terreno della libertà e dell'indipendenza che nasce il conflitto. Fino a quando la donna sta zitta e buona non  c'è bisogno di ucciderla, magari la si picchia tutti i giorni, o una volta ogni tanto, oppure si abusa di lei le si fanno fare cose che lei non voleva fare, ma la si tiene in vita, la si uccide quando lei si ribella definitivamente. Questa è una storia moderna che segnala un'esigenza, una guerra in corso. Ma noi o non riconosciamo questa guerra o la mettiamo in cronaca e non nell'agenda della politica. Ben poco facciamo per sostenere la donna in questo suo percorso d'indipendenza. E questa cosa mette in gioco noi in maniera sconvolgente perché dobbiamo pensare di aver e al fianco delle donne libere che non accettano tutto quello che l'uomo vuole per stare bene, ma con cui si devono contrattare le scelte, bisogna immaginare un rapporto con una persona libera veramente. Un percorso che noi uomini non vogliamo fare per non perdere il potere acquisito.

Stare bene per una coppia vuol dire stare bene in due...


Questi uomini violenti preferiscono stare con una donna che non è contenta, è umiliata, frustrata, ma non accettano la perdita di un potere che dia loro supremazia. Umiliano le loro donne, le picchiano davanti ai figli. Sono cose davvero terribili e ci vorrebbero delle politiche attive capaci di entrare dentro le case. Non si può delegare questa materia agli amici o ai parenti, i parenti sono complici...

Mi ha colpito, leggendo il suo libro, proprio il silenzio dei parenti delle donne che quasi sempre erano a conoscenza delle violenze che queste ragazze subivano.

Non è solo un atteggiamento di indifferenza, non dicono solo: non sono problemi miei, si ammazzino pure... C'è un ordine sociale intorno a una coppia che pensa che la donna debba stare "al suo posto". Siamo molto meno moderni di quanto si pensi. Non siamo un Paese che coltiva i diritti delle persone, non c'è nel pensare comune questa esigenza. Non interveniamo in realtà perché non vogliamo intervenire, perché l'autonomia della donna potrebbe scardinare quell'ordine che la prevede sottomessa. 


In Italia ci sono pochissimi Centri d'accoglienza per donne maltrattate. Anche questo rientra in una scelta politica? Se si volesse i soldi necessari per aprirne altri si potrebbero trovare, non le pare?

Una donna Francesca Barzini, che ha collaborato con me per il libro e per la trasmissione, ha detto una frase molto semplice, ma molto giusta: "se ci credi ce li metti i soldi, se non ci credi non li trovi"! Non servono poi tanti soldi, si parla di qualche milione di euro, non di centinaia né di migliaia... Il  costo di un centro antiviolenza è assolutamente affrontabile anche in questi momenti di crisi, ma come diceva prima lei questo non è nell'agenda della politica. Dove ci sono i centri creano anche un bisogno, laddove esistono hanno un numero di anno in anno più alto di accessi perché è' talmente forte la domanda sul territorio che quelli che esistono non riescono a soddisfare le richieste. Questa domanda di supporto è anche una domanda di felicità perché non tutti i casi di violenza domestica vanno a finire male, magari una donna ha bisogno di uno sguardo esterno e competente che le consenta di riprendere la forza interiore per risolvere i suoi problemi. E una volta che la cosa sia risolta non solo sta meglio lei, ma anche i figli e l'uomo stesso. Sono insomma politiche che rendono questo Paese più felice immediatamente. 

 



I libri di Riccardo Iacona