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Ventisette brevi dialoghi che Pavese considerava il suo "biglietto da visita presso i posteri". Prendono la parola i principali dèi ed eroi dei miti greci, da Achille e Patroclo a Calipso e Odisseo, da Eros e Tànatos a Edipo e Tiresia, intenti a discutere dei temi più cari all'autore: il rapporto tra uomo e natura, il senso del destino, il dolore, l'importanza delle proprie radici. Scritto tra il 1945 e il 1947, è una delle opere più complesse e affascinanti di Pavese, in cui confluiscono i suoi studi sulle religioni antiche e sulla psicoanalisi (la Leucò del titolo è la sua amica, letterata e psicoanalista, Bianca Garufi). Lo stesso autore definì quest'opera come "il suo capriccio, la musa nascosta" che a un tratto lo indusse "a farsi eremita". Ma per chi la considerasse un'opera difforme, dissonante dello scrittore piemontese, valgono le parole di Italo Calvino: "Qualcuno, a leggere i Dialoghi con Leucò ci rimarrà disorientato: questa da Pavese non se l'aspettava. Chi lo conosce, no: sa che questo Pavese dei Dialoghi è sempre esistito accanto all'altro, quello dei romanzi; anzi senza questo l'altro non sarebbe possibile: sono un Pavese solo, insomma".
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