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Mentre gli interessi di Coomaraswamy per le arti e per l'universo religioso e sapienziale hanno riscosso interesse e spesso plauso, il tema di questo saggio ha invece suscitato forti riserve e ha portato molti studiosi a marginalizzare, trascurare e anche occultare volutamente i suoi studi sulla "dottrina politica tradizionale", che apparivano scandalosi e inaccettabili. La tesi espressa dallo studioso anglo-indiano in questo scritto, arricchito dai sapienti apparati critici di Giovanni Monastra, è che il Potere temporale debba sottostare all'Autorità spirituale, depositaria dei "principi" che, in condizioni normali, dovrebbero ispirare il potere politico-amministrativo. Coomaraswamy criticava il moderno "dogma" democratico (ma non la democrazia come principio di realistico autogoverno, specie a livello locale), l'egualitarismo, l'individualismo, la desacralizzazione della società. Sosteneva sia il fondamento trascendente dell'autorità di governo, che solo così poteva essere legittima, sia il sistema delle caste, basato sull'eredità e sulla vocazione, il quale, a suo parere, se ben inteso e correttamente applicato, risulterebbe valido anche ai nostri giorni, sia pure con alcuni aggiustamenti dovuti all'epoca in cui viviamo. Le sue affermazioni ledevano la sensibilità e la suscettibilità dei suoi contemporanei, che perciò scelsero di ignorare, per quanto possibile, testi, come questo, dove affrontava in profondità il tema scabroso dell'organizzazione politico-sociale.
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