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26/07/2018

Santi Anna e Gioacchino di Natalia Forte

Il sacerdote betlemita Mathan aveva tre figlie: Maria, Sobe e Anna. Erano belle e buone tutte e tre ma la più fortunata fu Anna. Le sue sorelle sposarono due bravi giovani qualsiasi, due betlemiti. Lei invece sposò un uomo di Galilea, Gioacchino, che oltre a essere un uomo colto e affascinante era anche immensamente ricco. Aveva lavorato fin da quando aveva quindici anni e quando chiese Anna insposa era già in grado di offrirle una splendida posizione. Anna amava profondamente suo marito. Ancora dopo tanti anni il suo cuore accelerava i battiti quando sentiva i passi che ne annunciavano il ritorno. Però nelle loro vite c’era un vuoto che sembrava aumentare ogni mese, ogni anno. Non avevano figli. Dio li aveva riempiti di doni ma aveva negato l’unico dono che dà significato alla vita di una coppia: un figlio. Gli anni erano passati. Le sorelle di Anna avevano partorito e oramai le loro figlie erano grandi. Invece il sogno di maternità di Anna era come sepolto nel fondo del suo cuore. Lei amava il marito e amava Dio con tutto il cuore. Ma ancora sentiva affiorare dalle sue viscere quella domanda che non trovava risposta. Guardava i nidi degli uccelli e le acque dei fiumi e dei mari piene di pesci, guardava le sue sorelle e le sue amiche e le sue serve e quella domanda la tormentava: perché proprio lei doveva essere condannata alla sterilità? Dopo tanti anni ancora pregava il Signore perché esaudisse la sua supplica. Era una donna pia e colta e conosceva le Sacre Scritture. Tante volte Dio aveva concesso il dono di un figlio a coppie che avevano oramai accantonato la speranza di averne. Perché non sarebbe potuto accadere questo miracolo anche a lei e a Gioacchino?

Queste notizie sulla vita di Anna e di Gioacchino non ci sono state tramandate dai Vangeli, unica fonte storica della vita di Gesù. Le troviamo nella letteratura apocrifa, in particolare nel Protovangelo di Giacomo, che fu scritto alla metà del II secolo d.C., quando la morte di Gesù e la sua Resurrezione erano un evento clamoroso e sconvolgente ancora abbastanza vicino. Anche se questi scritti apocrifi contengono delle eresie, molte delle notizie in essi riportate sono considerate autentiche anche dalla Chiesa e hanno certamente influito sulla devozione e sulla liturgia. È il Protovangelo di Giacomo a raccontarci di Anna e di Gioacchino e della crisi che improvvisamente sconvolse la serenità della loro vita. I due oramai erano anziani, erano sposati da più di venti anni. Quell’anno Gioacchino come sempre portò al tempio le sue offerte che erano particolarmente generose, perché era un uomo caritatevole e molto ricco. Ma Ruben, il sacerdote del tempio, le rifiutò: “Non tocca a te offrire per primo le offerte ”dichiarò “perché tu in Israele non hai avuto discendenza!”. Per Gioacchino fu come ricevere uno schiaffo in pieno viso. Aveva sempre considerato la mancanza di figli un suo rimpianto, un privatissimo dolore da dividere solo con la moglie che amava. Ora era diventata una umiliazione pubblica: gli sembrava di leggere negli occhi di tutti la riprovazione e la condanna. Andò a consultare i registri delle dodici tribù di Israele e riscontrò che in realtà tutti i giusti avevano avuto un figlio. Tutti, tranne lui. Fu per Gioacchino un momento di dolore così lancinante, di umiliazione così profonda che fuggì, senza neppure comunicarlo alla moglie. Si rifugiò nel deserto. Lì almeno solo Dio sarebbe stato testimone del suo dolore. Lo avrebbe implorato, forse avrebbe avuto pietà di lui. La sofferenza di Anna fu immensa. Si sentiva responsabile dell’umiliazione del marito. Sapeva che Gioacchino soffriva per la mancanza di figli, ma le aveva sempre nascosto la profondità della sua pena.

Tante volte aveva asciugato le sue lacrime, era riuscito a farla sorridere. Quante volte le aveva detto che non avere figli era certamente un rimpianto ma volersi bene era un dono prezioso e loro si amavano ancora come quando si erano sposati. Anna era disperata: non aveva figli e non aveva più marito! Aveva il Signore, però. Piangeva e pregava. Quando era troppo stanca anche per piangere chiudeva gli occhi e immaginava di posare il capo sul cuore di Dio, quel cuore pieno di amore per l’umanità. Quell’amore come poteva non avere pena del suo dolore? Infatti Dio ne ebbe pena. Un angelo apparve ad Anna: sorrideva un sorriso pieno di luce. “Il Signore ha esaudito la tua preghiera” le annunciò “concepirai e partorirai e si parlerà della tua discendenza per tutta la Terra. Tuo marito sta tornando dal deserto” le comunicò. Infatti anche a Gioacchino era apparso un angelo e gli aveva fatto lo stesso annuncio. Nessuno dei due aveva dubitato della promessa di Dio: la loro fede era profondissima ed erano entrambi consapevoli che “niente è impossibile a Dio”. Anna andò incontro al marito e si incontrarono alla Porta aurea, simbolo della Ianua Coeli che, per merito della Vergine Maria, sarebbe stata riaperta all’umanità. I due si abbracciarono con tenerezza e Gioacchino ordinò ai servi di portare al tempio dieci agnelli e dodici vitelli e cento capretti per il popolo. Ma il dono più prezioso che fecero al Signore fu quel figlio che finalmente aveva loro concesso. Quella notte, stretta al marito, ascoltandone il battito del cuore che tornava a scandire il tempo della sua vita, Anna gli sussurrò che qualunque fosse stato il sesso del nascituro l’avrebbe consacrato al Signore. Nove mesi dopo nacque Maria, la loro figlia dolcissima. Quando la bimba compì un anno, Gioacchino offrì una festa sontuosa e un’altra grande festa quando la portò al tempio, a tre anni, per consacrarla al Signore. Il Protovangelo di Giacomo racconta che la bambina salì con sicurezza i 15 gradini del tempio quasi avesse fretta di raggiungere il Signore e questa sicurezza in una bimba così piccola stupì e commosse tutto il popolo.

Poi anche nella letteratura apocrifa le notizie sui genitori di Maria si diradano. Quelle su Gioacchino scompaiono il che fa supporre che sia morto pochi anni dopo. Quanto a Anna molti scritti, sempre apocrifi, narrano che sia morta vecchia, a più di 80 anni. Non le sarebbe stato risparmiato in questo caso lo strazio della morte di Gesù. Nell’iconografia comunque Gesù Bambino è sempre presente alla morte di sant’Anna, per confortarla e risparmiarle gli spasimi dell’agonia. Per tutti i cristiani la Madonna è mamma più che figlia. Mamma nel momento in cui l’Arcangelo Gabriele le apparve e le comunicò che avrebbe avuto Gesù. Mamma nella natività a Betlemme, nell’ansia di ritrovare il figlio smarrito a Gerusalemme e poi nell’orgoglio della sua predicazione e disperatamente mamma nello strazio senza fine della sua Passione e morte. Eppure Maria è stata una figlia, tenera e amatissima. Quanto avranno amato Anna e Gioacchino quella bimbetta seria, matura, obbediente, luminosa e dolcissima. Troviamo un’eco di questo amore in vari, pregiatissimi dipinti. Per esempio nell’affresco di Taddeo Gaddi in Santa Croce, a Firenze, viene descritta la consacrazione della piccola Maria. Contraddicendo i testi apocrifi, in questo quadro la bambina si volta e uno sguardo tenerissimo lega la piccola alla mamma. Nell’affresco di Giotto nella cappella degli Scrovegni, Anna amorosamente si china per aiutare sua figlia a salire i gradini del tempio. Troviamo poi in varie pitture tenere immagini di vita quotidiana: sant’Anna che insegna a Maria a leggere, a cucire, a fare i servizi di casa. Non sappiamo se Anna fu consapevole dell’evento che sconvolse la vita di sua figlia: l’Annunciazione. Certamente, essendo una mamma tenera e premurosa, dovette intuire il turbamento di Maria.

È dolce immaginare Gesù, il Salvatore del mondo, come un bimbo qualsiasi mentre sant’Anna, come una nonna qualsiasi gli fa il solletico baciandogli le gambette robuste e le loro risate si confondono teneramente. Il culto di sant’Anna risale al tempo di Giustiniano, che fece costruire a Costantinopoli nel 550 una chiesa in suo onore. In Occidente il culto si manifestò più tardi, ma nei secoli XIV e XV era molto diffuso. Sant’Anna è protettrice delle partorienti e delle donne che desiderano un figlio. Non esiste clinica di maternità senza una statua dedicata a lei. È anche protettrice dei gioiellieri, forse perché il suo ventre è stato lo scrigno prezioso che ha custodito la Vergine Maria. È protettrice delle casalinghe e delle domestiche, probabilmente perché ha insegnato a Maria a compiere i lavori domestici. È invocata per ottenere una buona morte. Lei e Gioacchino sono i protettori dei nonni. Nel Vangelo Gesù afferma che “dal frutto si conosce la pianta”. Il frutto nato dall’unione di Anna e Gioacchino fu Maria santissima che, preservata dal peccato originale, doveva diventare il tabernacolo vivente del Dio fatto uomo. Basta questa considerazione per venerare la loro santità. Anna e Gioacchino hanno incoraggiato il bisogno umano di celebrare e santificare gli affetti domestici, i fattori più umili della vita quotidiana: la tenerezza, la gentilezza, la condivisione. Sono santi dell’amore perché hanno amato profondamente Dio, si sono voluti bene per tutta la vita, hanno amato la loro figlia e il loro prossimo.