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30/05/2018

Santa Giovanna d’Arco di Fiorella Mattioli Carcano

La casa natale di Giovanna d'Arco
La casa natale di Giovanna d'Arco

L'inusitata vicenda di Giovanna d’Arco, nata il 6 gennaio 1412 a Domrémy in Lorena, da una famiglia contadina, si svolge dentro lo sconvolgimento politico e militare dell’ultima fase della Guerra dei Cent’anni, che vide opposte per motivi dinastici la monarchia francese a quella inglese, che vantava pretese di successione al trono di Francia. L’importanza storica di questo conflitto è notevole, anche perché collocato e intrecciato nella crisi del Trecento, che si riflette su gran parte del secolo successivo. Questa crisi è caratterizzata da fatti salienti, a cominciare dalla morte nera (la grande della peste del 1348 che spopolò l’Occidente medievale), per passare dalla rivolta dei contadini francesi detta jacquerie, al millenarismo apocalittico e rivoluzionario dei contadini inglesi, fomentati dal predicatore John Bull, alla lotta tra la casata d’Armagnac e quella di Borgogna, al papato avignonese (1308-1378) e infine allo scisma d’Occidente (1378-1417).
La monarchia francese era in crisi: re Carlo VI era incapace di governare perché infermo di mente, la moglie Isabella di Baviera godeva di pessima fama, anche in campo morale; al trono avrebbe dovuto succedere il delfino Carlo, sulla cui legittimità si sollevavano dei dubbi. In questa situazione Enrico V di Lancaster, che aveva sposato la figlia del re, Caterina di Francia, con il trattato di Troyes del 1420 aveva fatto escludere dalla successione il delfino, avocando alla moglie, e quindi a se stesso, il diritto di successione. Il Nord della Francia era in mano agli inglesi e ai loro alleati borgognoni, mentre il delfino (chiamato per dileggio “re di Bourges”) si era ritirato oltre la Loira. Nel 1422 morirono Enrico V e Carlo VI e la Francia fu divisa in tre blocchi (le tre France): il Nord e l’Ovest, in mano inglese, erano governati dal duca di Bedford, zio e reggente del fanciullo Enrico VI; il duca era sostenuto anche dagli intellettuali della Sorbona, che avevano elaborato la teoria della “doppia monarchia” di Francia e Inghilterra. Nella zona orientale del paese, il ducato di Borgogna era governato da Filippo il Buono, alleato degli inglesi. A sud della Loira resistevano alcune piazzeforti fedeli al delfino, fra cui Orléans.

Il paese, devastato dalle scorrerie dei vari contendenti, era ridotto allo stremo. Domrémy, posta sulla riva sinistra della Mosa faceva parte della contea di Bar, era divisa in due metà, dipendenti dal duca Renato d’Angiò e dal re di Francia. Come accadeva agli altri villaggi francesi, Domrémy era preda di incursioni dei mercenari, e viveva una quotidiana situazione di precarietà. Giovanna d’Arco crebbe secondo le usanze delle giovani di campagna: trascorreva il tempo dedicandosi ai lavori della casa, alla sorveglianza del gregge e alla custodia della mandria comunale; fu educata religiosamente dalla madre Isabella Romée. Sembra che la pastorella dimostrasse un precoce interesse per gli eventi politici del suo tempo, letti in chiave religiosa, specchio dell’eterna lotta tra bene e male, vedendo nel re ingiustamente perseguitato la figura di Cristo, mentre gli inglesi e gli alleati borgognoni rivestivano il ruolo dei demoni.

Verso il 1425, Giovanna cominciò ad avere delle visioni e udire delle voci che attribuiva ad alcuni tra i più venerati santi del tempo: Caterina d’Alessandria, Margherita d’Antiochia e l’Arcangelo Michele, il cui santuario di Mont-Saint-Michel, tra Bretagna e Normandia, era un’enclave fedele al delfino dentro un’area inglese. Riferiva che le “voci” le comandavano “in nome del Re del Cielo” di liberare la Francia. Ma a queste affermazioni il padre della giovane, Jacques, s’infuriò e Giovanna, presa per pazza, fuggì da casa. Così racconta Giovanna gli inizi della sua storia: “Ero nel tredicesimo anno della mia vita, quando Dio mandò una voce per guidarmi. Dapprima rimasi spaventata: ‘Sono una povera ragazza che non sa né guerreggiare né filare’ risposi. Ma l’angelo mi disse: ‘Verranno a te santa Caterina e santa Margherita. Opera come ti consigliano, perché loro sono inviate per consigliarti e guidarti, e tu crederai a quanto esse ti diranno’”. Le voci insistevano sulla necessità di adempiere la volontà di Dio, che voleva che la Francia venisse liberata dagli usurpatori. Giovanna, nel 1429, giunse a una fortezza sulla Mosa poco a nord del suo villaggio, Vaucouleurs, lì convinse il comandante Robert de Baudricourt, parlandogli della missione di cui l’avevano incaricata “le voci”: salvare la Francia dagli invasori e incoronare il delfino; nel contempo predisse esattamente una sconfitta francese. Le fu assegnata una piccola scorta per raggiungere il castello di Chinon, sulla riva sinistra della Loira, dove risiedeva il delfino.

Il 29 febbraio incontrò Carlo, che Giovanna riconobbe fra gli altri cavalieri senza che portasse alcuna insegna che poteva farlo individuare. Carlo rimase turbato dalla personalità della ragazza, ma incerto e sospettoso, la fece esaminare per settimane dai teologi dell’università di Poitiers. Questi si convinsero che le parole di Giovanna erano un segno di Dio. Accolta con entusiasmo dal popolo e dagli uomini d’arme, Giovanna, che sarebbe stata chiamata dai suoi seguaci “la Pulzella” (vergine), con una lucente armatura e con un bianco stendardo recante i nomi di Gesù e Maria, si pose alla testa dell’esercito.
La scortavano illustri cavalieri, fra cui Luigi detto il Bastardo d’Orléans (figlio illegittimo del fratello di Carlo VI) e il leggendario guascone Etienne de Vignolles. Tra maggio e luglio guidò energicamente i francesi, fu ella stessa ferita, e infine ruppe l’assedio e Orléans fu liberata; vennero prese Jargeau e Patay e gli inglesi furono scacciati dalla valle della Loira, costretti a lasciare Troyes, Châlon e Reims, dove nel luglio Carlo ricevette l’unzione della consacrazione, garanzia della sua legittimità. Giovanna così gli si rivolse: “Re gentile, ecco ora attuato il desiderio che voleva che io facessi togliere l’assedio a Orléans e che vi conducessi a ricevere, in questa città di Reims, la vostra santa consacrazione, a dimostrazione che voi siete vero re, quello cui deve appartenere il reame di Francia”. Alla grande vittoria purtroppo il sovrano, incerto ed esitante, non fa seguire un’azione militare  risolutiva e Giovanna viene lasciata sola. Contrastanti giudizi la accompagnavano: chi la diceva pazza, chi santa. In effetti Giovanna d’Arco perseguiva un limpido progetto, che cominciava dal risanamento dell’esercito: dominava e persuadeva i comandanti, si imponeva alla truppa, riportando la disciplina fra i militari.

L’8 settembre la Pulzella, benché ferita, organizzò un’azione sotto le mura di Parigi; ma infine dovette obbedire ai capitani e ritirarsi dalla capitale. La giovane non si arrese e nella primavera marciava su Compiègne, attaccata dal duca di Borgogna, ma durante una ricognizione cadde in un’imboscata: fu catturata dal Bastardo di Vendôme, luogotenente di Giovanni di Lussemburgo fedele al duca di Borgogna, che ad Arras la cedette, come bottino di guerra, agli inglesi: Carlo VII non fece nulla per liberarla e così la Pulzella, abbandonata, fu trasferita per sei mesi in diverse prigioni. In carcere venne sempre tenuta legata ai ceppi, e sottoposta giorno e notte agli sguardi dei suoi carcerieri. Non le fu concesso di essere sorvegliata da donne, come sarebbe stato suo diritto, e neppure di appellarsi al papa. Fu accusata di eresia e di empietà, imputazioni che tendevano a celare il significato politico della sua condanna. Furono applicate le procedure dell’inquisizione, per dimostrare che Giovanna era una strega che si serviva di poteri diabolici, per scardinare la profonda incidenza della sua missione.

Il tribunale che doveva giudicarla era presieduto da Pierre Cauchon, già rettore dell’università di Parigi, ora vescovo di Beauvais: un politico, più che un ecclesiastico, e formato da quaranta tra inglesi e francesi filo inglesi, inquisitori legati al partito anglo-borgognone: tutti avevano come scopo quello di colpire irrimediabilmente la credibilità e la rispettabilità di Carlo VII. Giovanna, che non aveva difensori, fu sottoposta anche a visite mediche di controllo della sua verginità, e le fu persino contestato l’uso in guerra di abiti maschili. Le furono poste domande tranello per indurla a rinnegare i messaggi celesti, ma la Pulzella tenne testa ai giudici, riaffermando la validità e veridicità delle sue “voci”, che non l’avevano ingannata: superato un momentaneo cedimento e ancora invocati i suoi protettori del cielo, ascoltò con fermezza la condanna al rogo per stregoneria. All’alba di mercoledì 30 maggio 1431 Giovanna fu condotta con la carretta dei condannati, vestita della bianca camicia dei penitenti, sulla piazza del Mercato Vecchio, assistita da un religioso che fino agli ultimi istanti le porse una croce su un’asta. Con il corpo già avvolto dalle fiamme, prima di morire, fu sentita gridare per ben sei volte il nome di Gesù. “Siamo tutti perduti!” gridarono i carnefici “abbiamo bruciato una santa”. La leggenda vuole che il cuore della Pulzella, risparmiato dalle fiamme, sia stato gettato nella Senna assieme alle ceneri delle ossa, per impedire ai ricercatori di reliquie di impadronirsene.

Lo slancio innescato dalle imprese di Giovanna d’Arco aveva ormai rimesso in moto la riscossa francese: nel 1437 Carlo VII entrerà trionfalmente a Parigi. Diciannove anni dopo la morte di Giovanna, nel 1449, il re riprendeva Rouen. Il sovrano ordinò la revisione del processo che aveva condannato al rogo la Pulzella. Anche la Chiesa, nella persona di papa Callisto III, a venticinque anni dalla sua morte, riaprì l’inchiesta: Giovanna fu riabilitata e riconosciuta innocente e le furono attribuiti i dovuti onori. In memoria della fanciulla che lo aveva portato a essere incoronato legittimo re di Francia nella cattedrale di Reims, Carlo VII dispensò in perpetuo dalle tasse il villaggio di Domrémy, che le aveva dato i natali. Giovanna sarebbe diventata una figura emblematica della storia di Francia, onorata come eroina indiscussa. Salì all’onore degli altari solo nel 1920. Fu proclamata santa da Benedetto XV, il sommo pontefice che aveva definito “inutile strage” la prima guerra mondiale. L’iconografia la rappresenta vestita da soldato, mentre impugna brando e bandiera bianca con raffigurato Dio nell’atto di benedire il fiordaliso, stemma reale francese. Per la presenza delle “voci” nella sua vicenda la Pulzella d’Orléans è considerata patrona dei radiotelegrafisti, che appunto trasmettono nell’etere la voce. Vita, passione e morte di Giovanna d’Arco sono state raccontate innumerevoli volte in romanzi, opere teatrali e liriche: con il suo personaggio, simbolo di fede, di eroismo e di amore per la patria, si sono cimentati Shakespeare, Schiller, Verdi, Liszt e Shaw. Numerosi i film che la vedono protagonista: dal primo nel 1908 a Giovanna d’Arco del 1999 diretto da Luc Besson.