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22/11/2017

Santa Cecilia

La vicenda di questa santa, la cui venerazione è diffusa in tutto il mondo, ha qualcosa di strano rispetto a quelle di tante martiri dei primi tempi della Chiesa. Di lei storicamente si sa talmente poco che appare sconosciuta a personaggi come Damaso, Ambrogio, Girolamo e Agostino; eppure il suo nome figura ben presto nella lista dei santi e dei martiri più amati nel canone romano della messa. Ci è pervenuta una sua Passio, redatta nel V secolo, in cui si racconta che la giovane Cecilia, figlia di patrizi cristiani di Roma, venne fidanzata dai genitori a un certo Valeriano, il quale però era pagano. Al momento del matrimonio, la santa rivelò al marito di avere offerto da tempo a Dio la sua verginità, sulla quale vegliava un angelo. Valeriano, volendo saperne di più sulla fede della moglie e su questo misterioso “custode”, accettò il consiglio di recarsi in una casa sulla via Appia, dove papa Urbano lo avrebbe istruito e battezzato. Tornato dopo alcuni giorni, il giovane poté effettivamente vedere accanto a Cecilia un angelo che, tenendo in mano due corone di rose e di gigli – simboli del martirio e della verginità – ordinò ai coniugi di vivere in castità. Valeriano allora chiese la grazia di poter convertire alla fede cristiana il fratello Tiburzio, il quale a sua volta fu persuaso a recarsi da Urbano e, dopo essere stato da lui istruito, nel giro di una settimana ricevette il battesimo. Il prefetto della città, Turcio Almachio, aveva ordinato di uccidere i cristiani e di lasciarne i cadaveri insepolti: Cecilia, Valeriano e Tiburzio invece ne recuperavano le spoglie per dare loro una degna sepoltura. Il prefetto per questo fece arrestare i due giovani che, essendosi rifiutati di sacrificare agli dei, furono condannati a morte. Massimo, il sottufficiale incaricato di giustiziarli, impressionato dalla giovane età delle vittime ma soprattutto dalla gioia che si leggeva loro in faccia davanti alla morte, volle a sua volta esse re catechizzato e ricevere il battesimo. Almachio, appena lo seppe, fece uccidere anche lui. Tutti e tre furono sepolti da Cecilia, la quale volle che sul sepolcro del marito fosse scolpita una fenice, simbolo della resurrezione. Il prefetto, che voleva impossessarsi dei beni dei due fratelli, fece arrestare anche Cecilia e, di fronte al suo fermo rifiuto di piegarsi agli idoli, ordinò che fosse ricondotta a casa sua e soffocata nel calidarium dei bagni, alimentando al massimo la fornace dell’acqua calda. Ma la santa uscì indenne da questo tormento e Almachio allora ne ordinò la decapitazione. Un soldato la colpì tre volte sul collo, senza riuscire a staccarle la testa: Cecilia sopravvisse tre giorni, durante i quali cedette formalmente la sua casa a Urbano, raccomandandogli di consacrarla col nome di una chiesa. Fin qui la leggendaria Passio. Di certo si sa che il pontefice ne collocò il corpo in un sepolcro accanto alla cripta dei papi nelle catacombe di San Callisto. Prima che Costantino concedesse la libertà alla Chiesa, i cristiani si riunivano clandestinamente in case che alcuni convertiti, generosi e benestanti, mettevano a disposizione della comunità. Queste chiese domestiche erano chiamate tituli, ed erano indicate con una croce incisa su una pietra.

È probabile che la nostra santa, appartenente alla nobile famiglia dei Cecili, abbia ceduto il suo palazzo nella zona di Trastevere alla Chiesa, e il suo gesto sia poi stato ricompensato col privilegio della sepoltura accanto a papi e a martiri nelle catacombe di San Callisto. La popolarità della santa si sviluppò a partire dal V secolo, quando il suo nome venne introdotto nel canone della liturgia romana e ambrosiana. Sappiamo ad esempio che papa Vigilio, battutosi con grande fermezza contro l’eresia monofisita (che riconosceva a Gesù Cristo la sola natura divina, negando quella umana) fu fatto arrestare dall’imperatore Giustiniano il 22 novembre del 545 mentre celebrava la festa liturgica di santa Cecilia nella basilica costruita sulla casa della martire a Trastevere. Nell’anno 821 Pasquale I decise di ampliare la basilica stessa e, in seguito a un sogno, su indicazione della santa, ne rintracciò il corpo, che si credeva trafugato dai longobardi, e lo compose in un cofano di cipresso che venne racchiuso in un sarcofago marmoreo. Vicino ad esso, in un altro sarcofago, pose i resti di Valeriano, Tiburzio e Massimo e tutti furono collocati sotto l’altare della chiesa. Il papa però sistemò in una arcella, cioè in un cofanetto d’argento, il capo di Cecilia, che più tardi venne trasferito da Leone IV nella chiesa dei Santi Quattro Coronati. Nel 1599 ci fu una svolta sorprendente, che non ha nulla di leggendario: il 19 ottobre il cardinale Sfondrati, titolare della basilica di Santa Cecilia, durante i lavori di restauro da lui promossi, compì la ricognizione delle reliquie della martire alla presenza del vicegerente, del segretario del vicariato e dei gesuiti Alagona e Morra. Su ordine di papa Clemente VIII, anche il cardinale Baronio andò a esplorare il sarcofago di Cecilia, trovandovi all’interno l’arca di cipresso ancora integra e, dentro, il corpo incorrotto della martire: coperto di un velo di seta ancora intriso di sangue sopra l’abito tessuto con fili d’oro, giaceva non supino, come di solito si trovano le salme, ma coricato sul lato destro “dando l’impressione”, così il  Baronio, “più di una che dormisse che di una defunta”. Fu chiamato immediatamente lo scultore Stefano Maderno perché facesse un disegno del corpo della martire così come era stato trovato: egli se ne servì poi per modellare la bella statua marmorea che si ammira tuttora nelle catacombe di San Callisto. Prima di essere riposte sotto l’altare maggiore della basilica, le reliquie furono esposte alla venerazione dei fedeli. Le condizioni del ritrovamento e le vesti intrise di sangue proverebbero comunque che la giovane morì martire. Molti si chiederanno come mai santa Cecilia sia stata eletta patrona della musica e dei suoi cultori. Tutto partì, verso il secolo XV, da una falsa interpretazione di un brano della Passio in cui, accennando al festino delle sue nozze con Valeriano, si narra che “cantantibus organis” (mentre gli strumenti suonavano) Cecilia “in corde suo soli Domino decantabat” (nel suo cuore cantava solo al Signore). Da qui la leggenda di Cecilia musicista che ha ispirato innumerevoli artisti, tra cui Guido Reni, il Domenichino, Carlo Dolci, Rubens (che la raffigura al clavicembalo) e soprattuto Raffaello col suo celebre dipinto conservato nella Pinacoteca di Bologna, in cui la martire appare tutta tesa all’ascolto di celesti armonie, dopo aver abbandonato su un lato gli strumenti della musica terrena. Tra le sue immagini più antiche va ricordata quella dei mosaici di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna, dove Cecilia fa parte della lunga teoria di vergini martiri che muovono verso la Madonna col Bambino, precedute dai Magi.
(di Angelo Montonati)