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03/07/2018

San Tommaso apostolo di Elena Bosetti

Tommaso è proverbiale per la sua incredulità. Ma il dubbio di questo apostolo, come notava già sant’Agostino, ci è stato più vantaggioso della pronta fede degli altri. Noi, figli del razionalismo e del positivismo scientifico, siamo particolarmente debitori a Tommaso, alla sua pretesa di vedere e toccare... prima ancora che alla sua schietta e vibrante confessione di fede pasquale. Di Tommaso i vangeli sinottici si limitano a ricordare il nome nell’elenco dei Dodici. Nella lista degli Atti egli è menzionato in coppia con Filippo, mentre il quarto Vangelo mostra particolare interesse per questo discepolo, ne delinea i tratti caratteristici e il faticoso cammino di fede. Il suo profilo è tracciato in quattro brani, e in tre di essi è chiamato anche “Didimo”, che significa “gemello”. Tommaso in aramaico significa infatti “gemello” e probabilmente era noto con questo nome in alcuni circoligiudeo-cristiani. Del suo “gemello” però nulla è detto nel Vangelo. Indubbiamente la singolare esperienza di vita gemellare deve avere lasciato un segno nella storia di Tommaso, ma l’evangelista non si attarda su questo aspetto, è interessato al cammino di fede. Invece la letteratura apocrifa successiva si interessa di questo dettaglio; secondo gli Atti di Tommaso (testo gnostico del III secolo) il suo “gemello” sarebbe stato nientemeno che Gesù.
Nel racconto del quarto Vangelo Tommaso entra in scena quando Gesù manifesta la decisione di tornare in Giudea, da dove era fuggito perché volevano ucciderlo.

La ragione è che l’amico Lazzaro è morto, e Gesù non può fare a meno di far visita a Marta e Maria di Betania.  Ma c’è di più. Afferma: “Io sono contento per voi di non essere stato là, perché crediate. Orsù, andiamo da lui!”.
Tommaso avverte il pericolo di tornare in Giudea, ma non si tira indietro, anzi incoraggia i discepoli a seguire il tragico destino del Maestro: “Andiamo anche noi amorire con lui!”. Sono le sue prime parole,una sorta di foto istantanea.
Parole eroiche,piene di audacia ma destinate a rimanere vuote, come quelle di Pietro: “Darò la mia vita per te”.
Né Pietro né Tommaso seguiranno infatti il Maestro sulla via del Calvario. Nel contesto dell’ultima cena Tommaso interviene mostrando un nuovo aspetto della sua personalità. Gesù confida ai discepoli che sta andando a preparare loro un posto nella casa del Padre e afferma: “Del luogo dove io vado voi conoscete la via”.
E Tommaso,che dice candidamente ciò che pensa,obietta subito: “Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?”. È dotato indubbiamente di notevole senso pratico, ma rivela anche difficoltà a trascendere il livello fisico per comprendere il senso profondo della comunicazione di Gesù. Anche qui però Tommaso ci è di aiuto, in quanto alla sua domanda il Maestro risponde con una dichiarazione straordinaria, che riassume la sua identità: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”.

Ed ecco la sera del primo giorno dopo il sabato. Tommaso non c’è quando Gesù appare ai discepoli mostrando le sue ferite. Non sappiamo per quale motivo fosse assente, ma ciò lo mette in una situazione in certo senso simile alla nostra: quella di dover dipendere dalla testimonianza degli altri per credere. I discepoli attestano coralmente, come già la Maddalena:“Abbiamo visto il Signore!”; ma Tommaso non si fida. Era disposto a seguire Gesù fino alla morte, ma non è disposto a credere alla testimonianza gioiosa dei fratelli. Pretende un’esperienza diretta, come l’hanno avuta loro. Si fa spazio in Tommaso l’interrogativo insidioso e tormentoso, che può assalire anche noi: e se fosse tutto un inganno, un’allucinazione? Per credere pone delle condizioni precise: vedere e toccare i segni inconfutabili del Crocifisso: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e nonmetto il dito nel posto dei chiodi, e non metto la mia mano nel suo costa-to, non crederò”. E Gesù lo prende in parola. Quel Gesù che non ha mai ceduto a chi gli chiedeva segni per credere, ora invece – unico caso nel Vangelo – soddisfa la pretesa di Tommaso. Quando? Otto giorni dopo. Non da solo, ma nel contesto della comunità. L’indicazione otto giorni dopo riflette l’abitudine della comunità di riunirsi nel “giorno del Signore” . Ancora una volta Gesù viene liberamente, oltrepassa la barriera delle porte sbarrate e sta in piedi, in mezzo alla cerchia dei suoi discepoli, che questa volta include anche il discepolo dubbioso. A tutti dona la pace frutto della sua Pasqua, quindi si rivolge direttamente a Tommaso con un invito forte(cinque imperativi!): “Metti il tuo dito qui e guarda le mie mani; porta latua mano e mettila nel mio costato e smetti di essere incredulo ma (diventa)credente”. Come immaginate avrà reagito Tommaso? Avrà messo davvero il dito nelleferite dei chiodi e la mano nel costato? L’evangelista sembra suggerire il contrario. Tommaso non ha più bisogno di toccare, gli basta vedere; Gesù infatti dirà: “Perché hai veduto hai creduto”. Il Risorto conquista Tommaso con l’ostensione delle sue ferite: sono la sua carta d’identità.

E Tommaso con profonda emozione confessa la sua fede: “Mio Signore e mio Dio!”. Proprio a lui, lo scettico dubbioso, è rivelata l’estrema conseguenza della risurrezione di Gesù: la sua divinità . Egli è veramente Dio, il suo Dio.
Gesù accoglie la confessione di fede di Tommaso,ma guarda anche avanti,e la sua ultima beatitudine è destinata proprio a noi: “Beati quelli che hanno creduto senza vedere!”.Ritroviamo Tommaso alla terza manifestazione del Risorto sul Lago di Tiberiade. È  menzionato al secondo posto, subito dopo Simon Pietro, tra i discepoli che assecondano l’iniziativa di andare a pescare. Indirettamente veniamo così a sapere che faceva anche lui il pescatore. La vita sembra ricominciare come se nulla fosse accaduto su quel lago, così pieno di ricordi...  Ma il Risorto sorprende nuovamente i suoi discepoli che in quella notte non avevano preso nulla:“Ragazzi, avete qualcosada mangiare?”. Gli risposero:“No”. E lui: “Gettate la rete dalla parte destra e ne troverete”. La gettarono e non erano più capaci di tirarla su, tanti erano i pesci. Tommaso questa volta non solo c’è, ma si dà anche da fare per portare a riva la barca “piena" di "centocinquantatre grossi pesci”, simbolo della feconda missione della Chiesa. Secondo la tradizione antica (Origene, Eusebio) Tommaso è l’apostolo dei parti, ma lo si vuole missionario anche in India dove avrebbe subito il martirio. A metà del VI secolo il mercante egiziano Cosma Indicopleuste scrive di aver trovato nell’India meridionale cristiani che affermavano di aver ricevuto il Vangelo da San Tommaso apostolo.
La qualifica di “cristiani di San Tommaso” designa ancora oggi i fedeli di rito malabarese.