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01/10/2018

San Romano il Melode

“Meritò di essere soprannominato ‘il Melode’ per la sua arte sublime nel comporre inni in onore del Signore e dei santi”. Così lo ricorda il Martirologio romano. Nell’antichità cristiana egli è infatti uno dei grandi maestri dei credenti con la poesia e col canto. Nasce in Siria, a Emesa (attuale Homs), da una famiglia di origine ebraica, in un anno imprecisato. Diventa diacono a Berito (attuale Beirut), ma è già a Costantinopoli nel 518, l’anno in cui muore l’imperatore d’Oriente Anastasio I: un sovrano famoso per la sua politica fiscale, che accumula oro a tonnellate nelle casse imperiali, impoverendo le campagne. A lui succedono il vecchio generale Giustino e Giustiniano, i due imperatori sotto i quali vive Romano diacono. Sembra che risieda presso la chiesa della Madre di Dio, ma anche questo dato è incerto.
Dal momento del suo arrivo a Costantinopoli prende avvio l’unica vicenda sicura e documentata di tutta la sua esistenza. Sta risorgendo la basilica della Divina Sapienza (Santa Sofia), dopo l’incendio che ha distrutto quella eretta da Costantino, e il diacono venuto dalla Siria “esplode” con i suoi canti ritmici in lingua greca, detti “contaci”, che sono al tempo stesso opere di preghiera, di catechesi e di storia religiosa, collegati sempre ai tempi dell’anno liturgico. Romano canta la vicenda di Dio e degli uomini con vivacità nuova, da narratore entusiasta e commosso, ben più che da attrezzato teologo.

Ha completamente trasformato il modo di rivolgersi al Signore e di vivere i grandi momenti della storia sacra. Non insegna: racconta. Inscena col canto le vicende dell’Antico e del Nuovo Testamento, con una vivacità di linguaggio che sembrerebbe quasi prefigurare, alla lontana, le sacre rappresentazioni di tanto tempo dopo. I fedeli, così, apprendono e vivono la storia sacra in forme e ritmi attraenti, ripetibili pure fuori di chiesa e di rito: i suoi inni si cantano anche in giro. In linguaggio attuale si può sicuramente parlare di eccezionale successo. La novità di Romano fa abbandonare l’opera di tanti precedenti autori; e sulle orme di lui nasce “una schiera di anonimi imitatori, i cui prodotti presero a circolare sotto il nome del santo, entrando nell’uso liturgico”. Per questo non tutti i testi giunti fino a noi sotto il nome di Romano sono veramente suoi.
L’opera del diacono di Siria (che si ispira a un suo grande compatriota, sant’Efrem Siro) arricchisce poi stabilmente la liturgia costantinopolitana delle Ore. E intorno a lui fiorisce la leggenda, tramandata poi nelle immagini. In alcune di esse, Romano è raffigurato in atto di mangiare un rotolo di carta: trasposizione pittorica di un’amabile narrazione fantastica, secondo cui sarebbe stata la Madre del Signore a suscitare la sua vocazione, in una vigilia di Natale, dandogli appunto un rotolo da inghiottire; e lui, l’indomani, avrebbe
improvvisato il suo primo inno, dedicato alla Natività.
Romano muore a Costantinopoli tra il 555 e il 565. E su di lui si diffondono altre leggende. Come quella del secolo successivo, che parla di un giovane raggiunto da un evento prodigioso, mentre canta un inno di Romano.