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21/12/2017

San Pietro Canisio

Che cosa avrebbe fatto della sua giovinezza Peter Kanijs (latinizzato in Canisius), intelligente, aperto alle cose belle della vita, di invidiabile stato sociale? Era nato a Nimega nel 1521. In quel tempo la città apparteneva al ducato di Geldern, nel territorio dell’Impero tedesco; di questa città suo padre era stato per nove volte eletto borgomastro. Per il giovane Pietro, che a diciannove anni era stato promosso magister artium all’università di Colonia, si prevedeva una brillante carriera. Diplomatico? Professore? Borgomastro? Tutte le vie gli erano aperte. Per il momento Pietro decise per lo studio della teologia, acquistando nel contempo una straordinaria familiarità con la Sacra Scrittura e con la patristica. Un soggiorno a Lovanio gli permise di avvicinare una cerchia di dotti ecclesiastici che si adoperavano per una genuina riforma della Chiesa ed erano fautori della mistica tedesca e della devotio moderna. Un incontro particolare determinò la scelta definitiva del giovane Pietro. Un amico di studi gli fece conoscere Pietro Faber, uno dei primi sei compagni di sant’Ignazio di Loyola. Uomo di notevole cultura e forte spiritualità, Faber intuì nel giovane una straordinaria apertura alla grazia e lo invitò a fare il mese di esercizi spirituali ignaziani. La meditazione del regno e la prospettiva del dono di sé (“Quelli che vorranno farsi coraggio e segnalarsi di più in ogni servizio del loro Re eterno e Signore universale, non solamente offriranno la propria persona al lavoro, ma, andando contro la propria sensualità e contro il proprio amore carnale e mondano, faranno oblazione di maggiore valore e  di maggiore importanza”) fu per Canisio un invito irresistibile. Offrì tutto se stesso a Dio e nel 1543 entrò a far parte della Compagnia di Gesù, approvata tre anni prima da Paolo III. Da gesuita, la vita di Canisio ha un ritmo febbrile: un ininterrotto viaggiare per restaurare l’edificio della cattolicità, minacciata dal Protestantesimo e dall’Umanesimo paganeggiante. Ecco la rete spaziale dei suoi viaggi: Colonia, Magonza, Praga, Innsbruck, Trento, Roma; inoltre Arnhem, Friburgo, Messina, Cracovia, Varsavia, Augusta. Per tale sua rete spaziale, è stato definito “un santo europeo”. “Il suo ideale europeo”, scrive Peter- Hans Kolvenbach, “era l’unità nella varietà, sia nel campo politico sia in quello linguistico (il latino nell’insegnamento, le lingue locali nell’uso quotidiano). Sul piano religioso indicava due direttrici nel cammino verso l’unità: la libera collaborazione dell’uomo all’azione divina e la formazione delle nuove generazioni”. Il suo andare attraverso l’Europa ci restituisce l’immagine del gesuita nel quale si realizza, nella più meravigliosa armonia, quell’ideale di preghiera, di cultura e di azione nel quale sant’Ignazio vede il vero compagno di Gesù. Suo campo di azione apostolica fu soprattutto la Germania. Nei tre decenni trascorsi nelle città tedesche partecipò alla ricostruzione della Chiesa, scossa dallo scisma, e divenne il fautore del movimento cattolico di rinnovamento germanico. Operò direttamente a questo compito sia con la sua attività d’insegnante e di predicatore, sia con l’intelligente organizzazione dell’apostolato dei gesuiti, sia col suo benefico influsso nel campo politico e letterario. Avendo appreso alla scuola di sant’Ignazio che “bonum quo universalius eo divinius” (il bene quanto più è universale tanto più è divino), Canisio fu sollecito ad avvicinare personalità influenti nella prospettiva apostolica. Fu consigliere dei principi cattolici, specialmente dell’imperatore Ferdinando I, dei papi Pio IV e Gregorio VIII, venendo così a trovarsi implicato in importanti trattative politiche della Chiesa.

Fu in relazione personale con quasi tutti gli uomini-guida del cattolicesimo del suo tempo, ridestando in tutti una fede viva e operante. Attento analista delle cause che avevano promosso la Riforma, si adoperò per una migliore formazione del clero, s’impegnò per la fondazione del “Collegium Germanicum” a Roma e di seminari pontifici, e per l’aumento delle nunziature in vista di un più stretto legame tra Roma e la Chiesa tedesca. Imponente è anche l’opera catechetica di Canisio. In opposizione ai due scritti da Lutero, compose due catechismi: uno maggiore, detto Teologia sommaria, per gli studenti delle scuole superiori, e uno minore, detto Catechismo breve, per i fanciulli e per il popolo. L’esposizione della dottrina cattolica è chiara, il linguaggio concreto; la verità rivelata è presentata come azione e pratica spirituale personale in maniera da far risaltare il valore della vita cristiana. I brani biblici non sono solo citazioni, ma espressioni di vita nuova, d’impegno umano e divino e di luce superiore. Il successo dei due catechismi fu enorme. Durante la vita del santo la Teologia sommaria ebbe ottantadue edizioni; il dotto protestante H. Boehmer formulò il seguente giudizio: “Principale dote del Canisio è che lascia da parte ogni controversia. Perciò nei suoi tempi, così ardenti di polemiche, (il suo catechismo) ebbe più effetto che tutte le opere polemiche dei cattolici”. Pio XI, in occasione della canonizzazione di Canisio, indicò i catechismi come la più rinomata e, per la Chiesa, la più importante opera del santo: giudizio confermato da storici recenti di grande prestigio quali Lortz e Eder. Tra le altre numerose opere di contenuto apologetico, esegetico e ascetico ricordiamo i due volumi De verbi Dei corruptelis, particolarmente il secondo De Maria Virgine incomparabili, composti per incarico di Pio V per confutare le Centuriae di Magdeburgo. La sua complessa personalità si contraddistingue per tre caratteristiche dominanti: un’intensa vita interiore, articolata nella preghiera e radicata nelle tre virtù teologali; un vivo senso della Chiesa quale realtà soprannaturale nella quale vive e opera Gesù Cristo; un forte senso di fiducia, fondato sul convincimento della verità della fede e sulla certezza della presenza di Cristo nella Chiesa e nella storia. Determinante fu, per la sua vita spirituale, la rivelazione del Cuore di Gesù, nel giorno della sua professione religiosa (4 settembre 1549) nelle mani di sant’Ignazio. Egli stesso così la riferisce: “Tu alla fine, come se mi si aprisse il Cuore del tuo sacratissimo corpo, che mi sembrava di vedere davanti a me, mi hai comandato di bere a quella sorgente, invitandomi cioè ad attingere le acque della mia salvezza dalle tue fonti, o mio Salvatore. Desideravo ardentemente che fiumi di fede, di speranza e di carità, da lì si versassero in me. Avevo sete di povertà, di castità, di obbedienza, e domandavo di essere da te lavato, vestito e ornato. Quindi, dopo aver osato giungere al tuo Cuore dolcissimo ed estinguere in esso la mia sete, tu mi promettevi una veste intessuta di tre parti, che potessero proteggere la nudità della mia anima: la pace, l’amore e la perseveranza. Rivestito di questo indumento di salvezza, avevo fiducia che nulla mi sarebbe mancato”. Così avvenne. Consunto dal lavoro, Pietro Canisio morì a Friburgo (Svizzera) il 21 dicembre 1597.
(di Ferdinando Castelli)