San Paolo Store

04/08/2018

San Giovanni Maria Vianney

Un santo “ordinario”, verrebbe da pensare scorrendo superficialmente la vita di questo parroco di campagna, rimasto per quarant’anni il pastore del piccolo gregge di Ars: un paesino della Francia, a circa 40 chilometri da Lione. A leggere invece più in profondità dentro la sua anima e a considerare i tanti frutti spirituali che, ieri come oggi, sono legati alla sua testimonianza e alla sua opera, ci si rende conto di trovarsi di fronte a una figura straordinaria, che ha saputo trasformare l’apparente ferialità della sua vita in uno scrigno di santità e di bene. Jean-Marie Vianney nasce l’8 maggio 1786 a Dardilly, da una famiglia di contadini. Pur nella temperie rivoluzionaria e nel furioso clima anticlericale di quegli anni; pur nella povertà della sua istruzione (si era seduto sui banchi di scuola per la prima volta a 17 anni), egli riesce a coltivare la sua vocazione religiosa e si applica nel proposito di “portare a Dio molte anime”. Vinta l’iniziale resistenza del padre – probabilmente per il venir meno di due braccia nel lavoro dei campi e insieme per le spese necessarie al suo mantenimento negli studi –Jean-Marie viene mandato nel 1806 a seguire le lezioni di Charles Balley, parroco di Écully, che sarà per lui il maestro e il padre spirituale nel suo cammino verso il sacerdozio. Le difficoltà sono molte, a cominciare da quelle dello studio. Sa leggere, ma appena scrivere; fa fatica ad apprendere; le regole del latino, poi, non gli entrano proprio in testa. Per di più, arrivano ostacoli inattesi: il più duro è la chiamata alle armi, nel 1809, pur essendo un candidato al sacerdozio e di per sé, quindi, esente dal servizio militare. Si arruola, ma, aiutato, riesce a darsi alla macchia e a nascondersi sotto falso nome. Intanto, però, deve abbandonare gli studi per oltre un anno. Al momento in cui può far ritorno a casa, la madre è morta, e il clima in famiglia – anche per le minacce e le angherie subite dal padre in conseguenza della diserzione del figlio – è piuttosto difficile da respirare. Tuttavia, Jean-Marie non si scoraggia; riprende gli studi, ma con scarso profitto, e i deludenti risultati ottenuti ai corsi di teologia nel seminario maggiore di Lione (1813) lo inducono, forse per la primavolta, a pensare seriamente di rinunciare al sacerdozio. Ma resiste e con tenacia arriva al traguardo lungamente atteso: il 13 agosto 1815 viene ordinato sacerdote.

Nel suo primo incarico, Jean-Marie viene destinato come coadiutore a Écully; poi, nel 1818, trasferito parroco ad Ars. Pur sentendosi il prete più ignorante e indegno di tutti, ma sempre abbandonandosi completamente alla misericordia di Dio – davanti alla quale siè tutti come si è – egli fa tesoro della felice esperienza maturata ad Écully, sotto la guida di Balley, e la mette a frutto ad Ars. Ars era allora poco più di un borgo, con circa 230 abitanti, con qualche casupola e una chiesetta senza neppure il campanile. Dal punto di vista religioso ed etico, l’ambiente non era certo dei migliori, dato che il processo di scristianizzazione aveva lasciato pesanti conseguenze. Era tale l’indifferenza o la tiepidezza religiosa che quasi non ci si era neppure accorti dell’arrivo del nuovo parroco. Ma ben presto la disponibilità di Jean-Marie a conoscere le persone, ad ascoltare i loro problemi, a interessarsi della loro vita crea un clima di fiducia nei suoi confronti. Nonostante questo, egli attraversa periodi di profonda solitudine e angoscia, sotto il peso della responsabilità di non riuscire a fare abbastanza per la sua gente. E a volte si scoraggia a tal punto da chiedere al suo vescovo, in diverse circostanze, di essere trasferito: l’ultima volta due settimane prima di morire (1859). Il suo zelo, invece, non resta senza frutto. La gente comprende che, in quel piccolo prete, timido e un po’ malandato, c’è la tempra severa dell’uomo di Dio che non si stanca mai di lottare per conquistare le anime: intransigente nel rimuovere il male, gli abusi e le cattive abitudini (la bestemmia, il ballo, l’ubriachezza, il lavoro domenicale, ecc.) quanto indefesso nel fare il bene. La sua ansia apostolica nella predicazione, nella catechesi, nell’educazione dei giovani, nella carità non è un attivismo di facciata, ma lo specchio di un amore profondo che si fa dono di sé e per questo si nutre continuamente di preghiera, penitenza, frequenti digiuni. Come avrebbe potuto resistere altrimenti alle estenuanti fatiche cui si era sottoposto, senza questa quotidiana ascesi spirituale? A poco a poco, tutto questo non fa che accrescere l’interesse o la curiosità per la sua persona; la gente comincia ad accorrere numerosa ad Ars dalla regione e da altre parti della Francia, sia per confessarsi da lui, sia per “vedereun santo”. Agli inizi degli anni Trenta del XIX secolo, i pellegrinaggi aumentano a tal punto da rendere necessari servizi regolari di trasporto, con biglietti della validità di otto giorni, essendo risaputo che, per riuscire a confessarsi ad Ars, ci voleva una settimana. E questo nonostante il parroco, a partire dal 1835-1836, fosse praticamente chiuso tutto il giorno nel suo confessionale (anche più di 15 ore). In questa oblazione completa si consuma la vita del curato d’Ars, che conclude serenamente la sua giornata terrena il 4 agosto 1859. Canonizzato da Pio XI il 31 maggio 1925, nel 1929 sarà proclamato patrono di tutti i parroci.


Testo di Giuliano Vigini