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RICORRENZA DEL GIORNO

22/06/2013

La pena di morte (1976)

Esattamente trentasette anni fa, il 22 giugno 1976, il Parlamento canadese aboliva la pena di morte: l’ennesimo passo avanti di un processo che non può dirsi concluso.
Nonostante il mondo vada nella direzione opposta, alcuni paesi continuano a praticarla. Certi (Iran, Iraq, Arabia Saudita, Yemen), addirittura, in misura maggiore che in passato: nel 2011 le esecuzioni recensite da Amnesty International sono state 676 contro le 527 del 2010 (si tenga conto che la Cina non rende pubblici i dati, e probabilmente, da sola, supererebbe tutti i paesi del mondo riuniti). Le condanne sanzionano diversi reati (dall’adulterio alla blasfemia, dalla sodomia al traffico di stupefacenti) e si concretizzano in modi differenti (dall’impiccagione alla fucilazione, dall’iniezione alla decapitazione).
In generale, tuttavia, la tendenza è a favore dell’abolizione: nel 2011 solo 20 paesi su 198 hanno praticato le esecuzioni (erano 31 nel 2002). E, nel mondo, 141 paesi (oltre i due terzi) sono abolizionisti nella pratica (prevedono pena di morte ma non la applicano) o nel diritto (l’hanno completamente abolita).
È qualcosa. Rispetto al passato, è tanto. Non abbastanza.
Dice l’enciclica Donum vitae (1987): "La vita umana è sacra perché, fin dal suo inizio, comporta l'azione creatrice di Dio e rimane per sempre in una relazione speciale con il Creatore, suo unico fine. Solo Dio è il Signore della vita dal suo inizio alla sua fine: nessuno, in nessuna circostanza, può rivendicare a sé il diritto di distruggere direttamente un essere umano innocente".
Dice il Catechismo della Chiesa Cattolica: “La legittima autorità pubblica ha il diritto ed il dovere di infliggere pene proporzionate alla gravità del delitto. La pena ha innanzi tutto lo scopo di riparare il disordine introdotto dalla colpa. Quando è volontariamente accettata dal colpevole, essa assume valore di espiazione. La pena poi, oltre che a difendere l'ordine pubblico e a tutelare la sicurezza delle persone, mira ad uno scopo medicinale: nella misura del possibile, essa deve contribuire alla correzione del colpevole.  L'insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude (…) il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l'unica via praticabile per difendere efficacemente dall'aggressore ingiusto la vita di esseri umani. Se, invece, i mezzi incruenti sono sufficienti (…) l'autorità si limiterà a questi mezzi, poiché essi sono meglio rispondenti alle condizioni concrete del bene comune e sono più conformi alla dignità della persona umana”.
Dice, sopra tutto il Quinto Comandamento: “Non uccidere”.