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Gustav Radbruch (Lubecca 1878 - Heidelberg 1949) è stato un giurista pacatamente irrequieto, un volontario della Croce Rossa al fronte nella Grande Guerra, un ministro della Repubblica di Weimar tra il 1921 e il 1923. Professore all'Università di Heidelberg, come politico socialdemocratico si impegnò in importanti riforme per l'abolizione della pena di morte e per il riconoscimento dei diritti di minori, donne, lavoratori. Nella sua autobiografia scrisse che il non voler avere più degli altri, non essendo migliore degli altri, era stato sempre il suo sentimento sociale di fondo. Sicuramente si distinse tra gli intellettuali pronti a denunciare la violenza del potere politico, quando essa nella storia raggiunse l'acme più abominevole. Subito sospeso dalla docenza universitaria negli anni del regime hitleriano, Radbruch riconobbe i limiti più gravi del giuspositivismo e rielaborò pubblicamente questo convincimento, non appena ciò si rese possibile, il giorno seguente la sconfitta del dominatore nazionalsocialista. Il nazismo aveva creato una voragine, aveva dischiuso lo sguardo sull'abisso; per reazione a tutto questo l'ordine giuridico- morale del mondo dovette cambiare. Radbruch fu, da filosofo del diritto, protagonista di questo gesto epocale di discontinuità normativa ed è oggi ancora un punto di riferimento per il costituzionalismo contemporaneo. Non è solo un classico, ma uno di quegli autori con i quali non si può non fare i conti. Tra i testi tradotti nel volume, il saggio Legalità senza diritto e diritto sovralegale viene considerato uno degli scritti più influenti per la storia dei diritti umani e del pensiero democratico.
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