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Un epistolario sospeso tra sfogo e liberazione, della durata di cinque anni e mezzo che rievoca tanti episodi di vita quotidiana e dimostra come sia possibile risollevarsi anche dalle cadute più dure. Il romanzo di esordio di Pasquale Mincione, è un dialogo immaginario che l'autore sostiene con il suo scrittore preferito, Charles Bukowski, nonché maestro di vita. Come Bukowski, infatti, anche Mincione ha conosciuto la sofferenza e l'oblio, vivendo ai margini, è stato a un passo dall'arrendersi ma ha saputo reagire alle avversità affidandosi prima di tutto alla sua grande passione: la scrittura. Non ci sono regole in questo libro, le parole scorrono come un flusso difficile da arginare. Riflessioni sulla società, ricordi che si mischiano a frammenti di vita reale, situazioni grottesche e disperate alle quali l'autore reagisce sempre con uno spirito bukowskiano, inteso come sfida beffarda, irriverente e (auto)ironica alle difficoltà che si incontrano lungo il cammino. Il gusto per la citazione, i continui rimandi ad autori che hanno segnato l'esistenza dell'autore, la scrittura vista come terapia fanno di Caro Buk un pastiche quasi surreale, nel cui messaggio finale è racchiuso il senso del lavoro di Mincione: "[...] anche se la Vita non vale niente non c'è niente però che valga una Vita, bella o brutta che sia".
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