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Si potrebbe dire che la poetessa faccia propria, rimediti e riecheggi la tradizione poetica italiana in uno spirito analogo a quello in cui la mistica ebraica si misurava con la tradizione del testo sacro: ché la materia verbale, ormai cristallizzata e sovrapersonale, su cui lavora il poeta, inevitabilmente inscritto in una data tradizione, ha la stessa assolutezza, la stessa traslucida purezza di forma a priori, che il Verbo divino porge allo sguardo dell'interprete e all'afflato del mistico (due tensioni che spesso si fondono proprio nella venerazione della Parola, nella celebrazione della creazione come rito, come sacrificio - dicono i Veda - che sacrifica se stesso). Il titolo del libro rinvia ad una tradizione di mistica negativa (per la quale l'essenza del Divino si può esprimere solo per sottrazione, per esclusione, per progressiva eliminazione di ogni attributo, limite, determinazione, fino al nudo silenzio, alla deserta quiete) che in certa misura il pensiero cristiano condivide con quello ebraico (dalla prefazione di Matteo Veronesi).
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