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26/09/2018

Santi Cosma e Damiano

L'uomo aveva poche ore di vita. Il cancro gli aveva divorato la gamba destra e non gli restava che attendere la morte. Sarebbe stata una liberazione perché le sue sofferenze erano strazianti. Era un uomo umile, faceva il sacrestano nella basilica romana dedicata ai santi Cosma e Damiano, i due fratelli medici morti martiri. In quelle ultime ore di vita l’uomo si rivolse a loro. “Aiutatemi voi!” li supplicò. Non chiedeva di guarire, sapeva che era impossibile. Chiedeva solo alla loro generosità che quel dolore insopportabile si placasse nella morte. Finalmente un sonno misericordioso gli fece chiudere gli occhi. Sognò i due santi martiri: uno aveva in mano un coltello, l’altro un vassoio che conteneva alcuni tipi di unguenti.
“Dove potremo prendere una gamba sana per sostituire questa imputridita?” chiese uno dei fratelli. “Oggi, nel cimitero di San Pietro in Vincoli è stato sepolto un etiope” rispose l’altro, “prendiamogli una gamba e mettiamola a questo pover’uomo che ci ha chiesto aiuto…”. Il sacrestano si svegliò dopo qualche ora. Forse era morto, pensò per un attimo. Quel dolore tormentoso era scomparso, la gamba non pulsava più, quella specie di trapano infuocato aveva smesso di trapanargli le carni… Si toccò la gamba poi la guardò, stupefatto. La gamba era perfettamente sana. Però era come se fosse stata immersa in un bagno di pece: era diventata completamente nera. È il primo trapianto di arto che la storia conosca ed è uno dei miracoli attribuiti a Cosma e Damiano e ne troviamo la descrizione nella Leggenda Aurea di Jacopo da Varazze.

Cosma e Damiano erano fratelli. Nacquero in Arabia, nella seconda metà del III secolo, da genitori cristiani. Dovette essere la madre a impartire loro la prima educazione alla fede perché il padre morì presto, durante una persecuzione in Cilicia. Su ispirazione dello Spirito Santo, giovanissimi si recarono in Siria per studiare le scienze e specializzarsi in medicina. Esercitarono la professione prima a Egea e poi a Ciro, città dell’Asia Minore. Il loro principale biografo fu proprio Teodoreto che fu vescovo di Ciro dal 440 al 458. Troviamo altre notizie della loro vita anche nei martirologi e nei sinassari, antichi testi liturgici che raccontano le vite dei santi. In essi si accenna a una medicina di loro invenzione, miracolosa per lenire i dolori, chiamata “Epopira”. Erano gli anni in cui a Roma era imperatore Diocleziano. Le pietre del Colosseo erano già arrossate dal sangue di decine di martiri, ma l’odio dell’imperatore raggiungeva anche i paesi più lontani dell’Impero. Essere cristiani era una condanna: c’erano la proibizione ad accedere a cariche pubbliche, la confisca dei beni, la prigionia e, nei casi più clamorosi, la morte. Cosma e Damiano ne erano perfettamente consapevoli, ma non se ne curavano.
Esercitavano la loro professione di medici come una missione. Dovunque ci fosse qualcuno bisognoso di cure, i due fratelli accorrevano. Essi non si limitavano a curare i mali del corpo, cercavano di infondere la speranza e la fede nei sofferenti, e riuscirono a convertire con il loro esempio e la loro predicazione una gran quantità di gente. Erano chiamati “Anargiri” cioè senza argento. Infatti rifiutavano qualsiasi forma di retribuzione, esempio raro di generosità che ancora oggi commuove. Nel Sinassario della Chiesa di Costantinopoli troviamo un aneddoto tenerissimo, che ispirò poi molti pittori. Una povera donna, tale Palladia, guarita dai due fratelli da un male che la tormentava da mesi, portò loro in dono tre uova. Lei era molto povera e non aveva potuto fare di più. Cosma tentò di rifiutare, ma la donna manifestò tanta delusione che lui impietosito accettò il suo regalo. Damiano si adirò, accusò il fratello di essere diventato venale. Quell’umile dono fu causa dell’unico litigio nella vita dei due santi. La condotta dei due medici non poteva passare inosservata. Tutti parlavano della loro carità, del loro amore al Dio vero, del bene che riuscivano a fare, anche alle anime. Lisia, in quegli anni governatore della Cilicia, ordinò il loro arresto: se i due fratelli non avessero rinnegato il loro Dio e non si fossero piegati al culto dell’imperatore sarebbero stati condannati a morte. Il coraggio, la serenità, la dignità che Cosma e Damiano mostrarono al processo valse loro l’appellativo, che troviamo nella biografia scritta da Teodoreto, di “atleti di Dio”. La leggenda narra che i due furono in un primo momento sottoposti alla flagellazione. Il governatore Lisia era sicuro che non avrebbero sopportato le sofferenze e avrebbero apostatato. Quando si rese conto che solo il loro fisico era provato e i loro spiriti erano sempre più fermi nella fede, ordinò che venissero gettati in mare. Ai loro corpi furono legati due pesanti macigni. Ma gli angeli sciolsero i legacci e i due santi tornarono a riva nuotando, in perfetta salute, accolti da una folla plaudente.

Lisia allora ordinò che fossero lapidati. I due santi divennero il bersaglio di un fitto lancio di pietre, ma queste tornarono indietro, colpendo chi le scagliava. Stessa sorte toccò alle frecce che vennero scoccate verso di loro. Esse invertivano la loro traiettoria e colpivano quelli che le avevano scoccate. Lisia allora li condannò a essere bruciati in una fornace. Ma il fuoco lasciò illesi i due santi: le fiamme divamparono e si rivolsero contro gli esecutori degli ordini di Lisia. Il governatore esasperato ordinò che i due fratelli venissero decapitati e finalmente le lame ebbero ragione della loro forza. Le loro teste rotolarono nella polvere, ma i loro spiriti erano salvi e sarebbero rimasti sempre vivi. Infatti, molti secoli dopo, le morti dei santi martiri Cosma e Damiano ispirarono gli affreschi barocchi nella basilica romana a loro dedicata.
I santi Cosma e Damiano furono sepolti nella città di Ciro, in Cilicia. Anni dopo, più o meno nel VI secolo, l’imperatore Giustiniano, guarito da una grave malattia per l’intercessione dei due santi, andò a pregare sulla loro tomba, fece innalzare a basilica la loro chiesa e dispose la fortificazione della città di Ciro. Gli scambi commerciali tra Roma e l’Oriente facilitarono la diffusione in Occidente della fama dei due martiri. Poco tempo dopo, nel 528, a opera di papa Felice IV, le loro reliquie furono trasportate a Roma, e in loro onore fu edificata la grande basilica esistente nel Foro Romano. In Oriente sorsero numerose chiese dedicate a Cosma e Damiano. La più famosa fu la basilica costruita a Costantinopoli, proclamata santuario nazionale, alla quale accorrevano malati di ogni ceto sociale per chiedere miracoli. In questa basilica avveniva il rito detto “dell’incubazione”. Secondo la tradizione i malati venivano adagiati su poveri giacigli, mentre gli altri fedeli trascorrevano la notte in preghiera. Durante il sonno miracolosamente Cosma e Damiano intervenivano per guarirli. Mentre il culto dei due fratelli si diffondeva nel mondo, in Italia la loro fama aumentò nel Quattrocento, al tempo dei Medici. A causa probabilmente del loro nome di famiglia, essi elessero i due santi a propri patroni, facendoli oggetto di un culto intensissimo. Il capostipite della casata diede i loro nomi a due suoi figli e agli Uffizi c’è una pala di Botticelli, commissionatagli dai Medici, che ci mostra sotto le spoglie dei santi i ritratti di Lorenzo e Giuliano inginocchiati dinanzi alla Vergine. Cosma e Damiano, questi “atleti di Dio” hanno gridato al mondo, con la loro vita e la loro morte, la verità di Cristo. Il loro messaggio di carità e di fede attraversa i secoli e giunge fino a noi proponendoci Dio come “l’unica ancora cui affidarsi, l’unico orizzonte su cui stagliare le nostre scelte”. 

(Natalia Forte)

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