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07/03/2018

Sante Perpetua e Felicita

Per Tibia Perpetua, nobile gentil donna africana di ventidue anni, quell’estatedel 202 d.C. era la più bella della sua vita. Aveva appena partorito il suo primo figlio e allattarlo le dava una felicità mai provata. Anche Felicita, la sua giovane schiava aspettava un bambino. “Ti senti bene?” le chiese quella mattina. La gravidanza di Felicita era iniziata quando quella di Perpetua era quasi alla fine e quella maternità condivisa aveva legato ancora di più le due ragazze. “Starei meglio se non mi costringessi a nutrirmi tanto” scherzò Felicita. Sorrise: “Ringrazio il Signore ogni giorno perché ha voluto concedere anche a me il dono della maternità”. “Io lo ringrazio ogni momento, per tutto”, replicò Perpetua. In realtà nel suo cuore e in quello della sua schiava da qualche mese albergava una felicità ancora più intensa di quella di essere mamme: avevano conosciuto il Dio vero. Una luce le aveva come abbagliate e aveva dato un significato diverso alle loro vite.La famiglia di Perpetua viveva a Thuburbo Minus, un paese a cinquanta chilometri da Cartagine. Perpetua, suo fratello Saturnino, la sua schiava Felicita e due amici Revocato e Secondulo avevano preso l’abitudine di vedersi ogni giorno. Dietro gli insegnamenti del catechista Saturo pregavanoe parlavano del Dio cristiano, del suo Figlio che si era fatto crocifiggere per amore e della sua Madre dolcissima. Parlavano quasi con invidia dei primi martiri che avevano arrossato con il loro sangue anche la terra d’Africa. Infatti l’imperatore romano Settimio Severo odiava i cristiani. Il suo odio raggiunse anche quella piccola comunità. Il prestigio e la ricchezza della famiglia di Perpetua non bastarono a proteggere il gruppo dei giovani: un giorno si presentarono alcuni messi del procuratore costringendoli a seguirli alla stazione di polizia.“Rinnegate subito questo vostro maledetto Dio cristiano!” bestemmiò il padre di Perpetua, che li aveva raggiunti, disperato, mentre il procuratore li interrogava. “Non è possibile, non possiamo farlo” pianse Perpetua. Suo padre le faceva una pena terribile. Anche quando la schiaffeggiò, nell’assurda speranza di convincerla, le fece pena. Ancora di più si sentì straziare il cuore quando lo vide inginocchiarsi e supplicare e fu allontanato con maniere brusche alle quali non era abituato… “Povero padre mio!” si disperò Perpetua. Ma nel suo cuore era l’altro Padre, quello chesta nei Cieli, e ora che lo aveva trovato, lei mai avrebbe potuto rinnegarlo. Così i cinque giovani: Perpetua,Felicita, Saturnino, Revocato e Secondulo furono condotti a Cartagine e chiusi in carcere. Li raggiunse anche Saturo, che volle condividere la dura sorte dei suoi amici. “In questo carcere il caldo è soffocante”: dal primo giorno Perpetua tenne un diario. Più che per il caldo lei soffriva perla mancanza del figlioletto. Isuoi seni gonfi di latte anelavano la suzione delle sue piccole labbra, le sue braccia invocavano il suo corpicino… Per fortuna suo padre riuscì a corrompere le guardie, a farle avere in carcere il bambino. Le lacrime della ragazza inondarono il viso del piccolo: “Sono felice” annotò Perpetua nel suo diario: “Il carcere, da un momento all’altro, è diventato il luogo più bello del mondo!” Il tempo passava. Fuori la vita proseguiva e i giovani cristiani si chiedevano quale sarebbe stato il loro futuro. Erano sereni, assorti sempre di più nella preghiera e nella contemplazione di Dio.  “Come ti senti?” chiedeva continuamente Perpetua alla sua schiava. Il ventre della ragazza si ingrossava, ma lei sembrava diventare ogni giorno più minuscola. “ Mi sento bene”, l’altra la rassicurava. Ma in realtà la gravidanza era motivo di angoscia, per Felicita. La legge romana vietava che le donne incinte fossero condannate a combattere con le belve e Felicita temeva di essere lasciata sola.

Che cosa avrebbe fatto se gli altri fossero stati uccisi e lei fosse rimasta in vita? Questo pensiero la sgomentava più di quello del martirio, che avrebbe affrontato con coraggio, addirittura con gioia, per amore di Gesù Cristo… “Signore aiutami, fai nascere il mio bambino al più presto!”. Perpetua continuava ad annotare nei suoi diari lo scandire monotono delle loro giornate. Questi scritti ci sono stati tramandati come La Passione delle Sante Perpetua e Felicita. Si suppone che siano stati arricchiti e ordinati, forse, addirittura da Tertulliano, il grande scrittore dell’epoca. Oltre agli incontri, ai progressi della loro fede, al rapporto con i carcerieri, non sempre ostili, Perpetua racconta i suoi sogni, che sono quattro. Nel primo sogno, Perpetua si vede costretta a salire su una scala che ha i gradini formati da lame aguzze, da spade, da lance e da uncini. Per arrivare in cima la ragazza deve liberarsi anche di un orribile drago. Perpetua raggiunge a fatica la cima della scala e riceve una specie di eucarestia che, anche se è solo sognata, le lascia in bocca una sensazione di ineffabile dolcezza. Il secondo e il terzo sogno hanno per protagonista Dinocrate, il fratellino di Perpetua, morto a sette anni, senza avere ricevuto il battesimo. In tutti e due i sogni il bimbo, immerso in vasche d’acqua non riesce a dissetarsi… È evidente l’ansia tenerissima della sorella che ha il terrore che la sua anima non sia potuta andare in Paradiso. Nell’ultimo sogno, Perpetua si vede protagonista di una lotta, nella quale esce vittoriosa, ma trasformata in uomo. Forse in lei è la consapevolezza che non c’è distinzione di sesso per accettare la morte per amore di Cristo: il martire, uomo o donna, è dotato di una grande forza interiore che ha del sublime e che gli viene direttamente data da Dio. Intanto il procuratore Iraliano condannò ad bestias il gruppo dei giovani cristiani: il 6 di marzo sarebbero stati condotti nell’anfiteatro dove avrebbero lottato con belve feroci. Dopo il combattimento sarebbe stata loro tagliata la gola. I giovani accolsero la notizia con serenità, addirittura con gioia:  la loro fede era sempre più salda. Felicita li guardava con invidia… Ma una notte, quasi due mesi prima della data prevista per il parto, all’improvviso, iniziò il suo travaglio. Perpetua l’assistette amorosamente e lei rideva, nonostante i dolori: “Il Signore mi ha esaudita” esultava, tra uno spasimo e l’altro: “Sarò con voi, morirò insieme a voi”. Felicita partorì una bambina.

“È una femmina!” annunziò Perpetua. Le due ragazze si guardarono commosse, mentre Felicita stringeva al seno la sua piccola. Pensavano tutte e due a quando era nato il bimbo di Perpetua. Quanti sogni, quel giorno, quanta gioia: “Tu dovrai avere una femmina” aveva scherzato la padrona. “Voglio una piccola compagna di giochi per mio figlio…”. Le aveva obbedito, pensò Felicita, come le aveva obbedito sempre, ma i bimbi sarebbero cresciuti senza le loro mamme. “Staremo sempre con loro” la rasserenò Perpetua come intuendo la sua pena. I due bambini sarebbero stati affidati alla sua famiglia. “Saranno amati e noi non smetteremo di proteggerli dal Cielo”. La sera fissata per il martirio i giovani si prepararono come se andassero a una festa. Felicita aveva intrecciato i capelli della sua padrona, come tante volte aveva fatto in passato. Perpetua sembrava illuminata da una luce interiore: era immersa nella contemplazione di Dio, e nessuna sofferenza, neppure quella di separarsi dal figlio, le sembrava eccessiva, se le avesse consentito di raggiungere Lui e saziare la sua fame. I giovani passarono tra la folla sorridendo: i loro visi erano pieni di luce, tremavano più di gioia che di paura. Li sorreggeva la certezza che Dio li attendeva. Furono prima gli uomini ad affrontare le belve. Un orso e un leopardo fecero scorrere il primo sangue, mentre la folla urlava eccitata. Felicita cerca di nascondersi dietro la sua padrona. Tutti quegli sguardi su di lei la sgomentano. Perpetua invece ha la testa alta, i suoi occhi fissano la folla ma come se non la vedessero. A un certo punto, la sua voce chiara si contrappone agli schiamazzi della gente: canta un inno di lode al Signore e i suoi amici le fanno eco. Furono uccisi prima gli uomini. Le due ragazze pregavano, aspettando il loro turno… Entrò nell’arena una mucca inferocita: Perpetua e Felicita furono spinte in alto e Felicita cadde in terra con un grido di dolore. La sofferenza della sua schiava parve destare Perpetua da una specie di sogno. Le si avvicinò, l’accarezzò, l’aiutò a rialzarsi. La mucca tornò ad assalirla, le sue zanne e le sue corna squarciarono le sue carni… Il sangue sgorgò ma Perpetua sembrò ignorare le ferite: con tranquillo rispetto di sé rimise a posto la tunica, si coprì le gambe, in un gesto di pudore che commosse la folla e per qualche istante la tacitò. Poi le due ragazze, tenendosi per mano, furono portate al centro dell’arena per essere sottoposte al taglio della gola. La mano del gladiatore tremava, e fu la stessa santa a stringerla e a guidare l’arma che le avrebbe squarciato la gola. Il Cristianesimo continuò a propagarsi in tutta l’Africa, le sue radici probabilmente si irrobustirono nel sangue di tanti martiri. La passione delle sante Perpetua e Felicita si diffuse in tutto il mondo. Le due sante ancora oggi sono unite nella devozione popolare e continuano nei secoli a tenersi per mano, nonostante l’una fosse ricca e nobile e l’altra soltanto la sua schiava. Sono state due ragazze come tante altre, che avevano conosciuto i sogni e l’amore e la gioia della maternità e dell’amicizia. L’amore senza fine che avevano votato al Signore le ha consegnate alla storia come due dolci eroine.
(di Natalia Forte)