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22/03/2018

Santa Lea

“Con questi qui d’attorno, essere santi diventa rischioso”. Così si sfoga san Girolamo (ca. 347-420) che, da buon dalmata, focoso, qualche volta esagera. Ma qui parla di cose toccate con mano durante il suo soggiorno nell’Urbe, a contatto con quei gruppi cristiani che al pericolo di contagio spirituale oppongono la loro fede, approfondita con lo studio e “predicata” con l’esempio. Questo è il tempo di Roma sostituita da Milano come capitale effettiva, e ben poco frequentata dagli imperatori, sempre in guerra ai confini: nel 375 la morte coglie Valentiniano I durante una campagna
in Pannonia (Ungheria); e il suo successore Valente muore nel 378, combattendo i visigoti a Adrianopoli (oggi Edime, Turchia). In questi tempi vive Lea, che conosciamo soltanto grazie a san Girolamo. Egli ne parla in una lettera alla gentildonna Marcella, animatrice del Cristianesimo integralmente vissuto, che ha dato vita a una comunità femminile di tipo quasi monastico nella sua residenza sull’Aventino. Anche Lea è di famiglia nobile: rimasta vedova in giovane età, pareva che dovesse poi sposare un personaggio illustre, Vezzio Agorio Pretestato, chiamato ad assumere la dignità di console. Ma lei è entrata invece nella comunità di Marcella, dove si studiano le Scritture e si prega insieme, vivendo in castità e povertà. Con questa scelta, Lea capovolge modi e ritmi della sua vita per diffondere, come diremmo noi, un “messaggio forte”. E Girolamo dice di lei: “Maestra di perfezione alle altre, più con l’esempio che con la parola, fu di un’umiltà così sincera e profonda che, dopo essere stata gran dama, con molta servitù ai suoi ordini, si considerò poi come una serva”. Marcella le affida l’importante compito di formare le giovani nella vita di fede e nella pratica della carità nascosta e silenziosa. “Sarebbe difficile” scrive Girolamo “riconoscere in lei l’aristocratica di un tempo, ora che ha mutato le vesti delicate nel ruvido sacco, e mangia come mangiano i poveri che soccorre”. Questo è il suo stile, sotto il segno del riserbo. Agire e tacere. Insegnare con i fatti. Fa così poco rumore che di lei non si sa altro, e ignoreremmo perfino la sua esistenza se Girolamo non l’avesse ricordata in quella lettera, quando lei era già morta (e sepolta a Ostia). Era il 384.