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13/01/2018

Sant’Ilario di Poitiers

Il contesto della personalità cristiana di Ilario di Poitiers fu la rovente polemica sulla divinità del Logos, il Figlio di Dio, che a metà del IV secolo l’imperatore Costanzo volle imporre in Occidente in versione ariana. Ario, prete di Alessandria, nella sua predicazione nel quartiere di Baucali ripeteva, riassumendo la sua posizione sulla divinità di Gesù Cristo, con uno spot: “C’era un tempo quando il Verbo non c’era”. E voleva dire che il Logos non era Dio, ma una semplice creatura, anche se la prima delle creature (il primogenito), come dicono le Scritture. Il suo vescovo Alessandro gli rispondeva con un altro spot: “Sempre (è) il Padre, sempre (è) il Figlio”, e cioè essendo il Figlio coeterno al Padre non è stato creato nel tempo. Ilario s’impose all’attenzione di tutti nel 355, anno del concilio di Milano, convocato su pressione dell’imperatore Costanzo, di fede ariana, per far condannare il vescovo di Alessandria, Atanasio. Ilario prese una netta posizione contro i vescovi filoariani, in particolare contro Saturnino di Arles. Nel successivo concilio di Béziers in Gallia (356), dove fu costretto a partecipare senza poter prendere la parola, lui assieme a Rodanio, vescovo di Tolosa, anch’egli di fede nicena atanasiana, fu costretto in esilio in Asia Minore, in Frigia (l’attuale Turchia occidentale), dove rimase quattro anni. Egli li fece fruttificare in conoscenze di persone e di scritti cristiani dell’Oriente circa le controversie trinitarie e cristologiche della fede cristiana. Ilario di Poitiers, nato nel primo ventennio del secolo IV (315 ca.) da famiglia benestante – non sappiamo se pagana o cristiana – aveva una buona cultura retorica e filosofica che, con la conversione al Cristianesimo, mise al servizio della verità cristiana. Divenuto vescovo intorno all’anno 350 (si era battezzato da poco), verso il 353 volle aiutare quelli del suo presbiterio a migliorare la loro predicazione e le loro celebrazioni liturgiche come pure a fronteggiare la non facile questione ariana. Ilario scrisse  così la sua prima opera, il Commentario al Vangelo di Matteo, che rimane il primo in lingua latina.

Il Vangelo di Matteo era, per tradizione, il testo base delle assemblee cristiane e, con quel commentario, Ilario volle offrire un sussidio di sana predicazione ai suoi preti, impegnati contro il dilagare dell’eresia ariana. In quella polemica si adducevano testi della Scrittura per provare la non consustanzialità del Figlio di Dio con il Padre. Ilario, sulla base  della fede nella divinità di Gesù Cristo, che utilizzò come chiave di lettura delle sacre Scritture, scrisse opere che ebbero molto influsso nel mondo latino. Negli anni dell’esilio (356-360) compose De trinitate o De fide contra arianos (La Trinità o la Fede contro gli ariani) in 12 libri (i primi tre forse composti già in Gallia), dando un’elaborazione latina alla dottrina trinitario-cristologica. Egli esamina, accanto alla dottrina di Ario, anche le posizioni eterodosse monarchiane che facevano capo a Sabellio, Marcello di Ancira e Fotino le quali, in nome dell’unicità del Principio divino, visto come monade indivisibile, negavano la nascita eterna del Figlio, spiegandola o come un modo di manifestarsi o come una potenza (dynamis) operativa del Padre. Nell’anno 357 o 358, su richiesta dei vescovi della Gallia che desideravano conoscere le formule di fede degli orientali, scrisse il De synodis (Libro sui sinodi) in due parti: la prima, una raccolta di formule di fede degli orientali; la seconda, la polemica con gli omeousiani (o semiariani), i quali invece di asserire l’eguaglianza della sostanza divina tra il Padre e il Figlio, dicevano il Figlio uguale al Padre “secondo la sostanza” nel significato di “simile” al Padre. Essi, in terminologia tecnica, professavano l’homoiousios (simile) al posto dell’homoousios (consustanziale). Nel 359 alcuni vescovi occidentali, riuniti a Rimini e poi trasferitisi a Nike in Tracia su pressione dell’imperatore Costanzo, sottoscrissero un documento filoariano. Ilario lasciò allora l’Oriente e fece ritorno in Gallia, combattendo il gruppo degli “omei” (= simili, dal greco homoios) appoggiati dall’allora vescovo di Milano, il filoariano Aussenzio. Essi dicevano Cristo simile al Padre in tutto e non solo secondo la sostanza, come volevano gli omeousiani. Per la sua combattività Ilario venne considerato l’Atanasio dell’Occidente (il vescovo di Alessandria difensore della fede del concilio di Nicea che aveva reso dogma la consustanzialità del Figlio con il Padre). Pio IX lo annoverò nel 1851 tra i dottori della Chiesa.
(di Vittorino Grossi)