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23/10/2017

San Severino Boezio

A Pavia, in Lombardia, vive il ricordo di san Severino Boezio, martire che, illustre per la dottrina e gli scritti, rinchiuso in carcere, scrisse il trattato De consolatione philosophiae (La consolazione della filosofia), rimanendo fedele a Dio sino alla morte, inflittagli dal re Teodorico. Vissuto nel VI secolo, Anicio Manlio Torquato Severino Boezio (questo il suo nome completo) per tutti rappresenta spesso solo un paragrafo del manuale di storia della filosofia. Dagli studiosi è visto come il filosofo che sintetizzò il pensiero classico e la cultura cristiana, lasciando l’unica eredità filosofica di rilievo della seconda metà del primo millennio. Boezio nasce a Roma, attorno al 475 da un patrizio della gens Anicia che fu console sotto Odoacre. È senatore a venticinque anni e console unico nel 510. Sposa Rusticiana divenendo genero dell’imperatore Simmaco e cognato delle sante Proba e Galla; ebbe due figli che diventeranno consoli a loro volta. Collaborò con Teodorico contribuendo a diffondere fra i goti il pensiero romano e la fede cristiana. La sua integrità lo oppose però a Teodorico stesso che lo condannò ingiustamente. Esiliato a Pavia, fu chiuso da Eusebio, prefetto di quella città, nel battistero della vecchia cattedrale in Agro Calventiano, e lì ucciso nel 524. L’opera più famosa di Boezio è appunto quella da lui scritta in carcere nel 523-524: il De consolatione philosophiae, scritto ben conosciuto, oltre che da Dante, anche dai letterati e dagli umanisti rinascimentali.