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18/09/2018

San Giuseppe da Copertino

Il “santo dei voli”, come è chiamato per le sue frequenti e straordinarie estasi Giuseppe da Copertino, è una delle figure più interessanti della mistica cristiana. La sua storia comincia a Copertino, nella penisola salentina dove vivevano Giuseppe Desa, un artigiano che costruiva e riparava carri, e Franceschina Panaca. Per una serie di sfortunate coincidenze – un padre troppo buono che facendosi garante dei debiti altrui si trovò ad un certo punto sul lastrico, costretto a nascondersi per sfuggire all’arresto – il nostro Giuseppe, ultimo di sei figli, venne alla luce in una stalla, proprio come Gesù. Era il 17 giugno 1603. Fu la madre a crescere Giuseppe con giusta severità e grande spirito di sacrificio. Dotata di profonda fede, ripeteva spesso al figlio, che aveva un carattere indocile e facile all’ira: “Preferisco vederti morto oggi, aniziché traviato domani”. Il ragazzo trovò lavoro presso il convento dei frati Minori conventuali,detto della Grottella per via del vicino santuario dove si venera una Madonna col Bambino a cui Giuseppe era particolarmente devoto. Nonostante una serie di ricorrenti malattie che gli impedirono di dedicarsi agli studi, chiese di essere accolto tra i Minori conventuali, ma ne fu respinto per motivi di studio, per la salute cagionevole e per le pendenze giudiziarie del padre. Bussò poi inutilmente al vicino convento dei Padri riformati di Casole, e quindi a quello dei cappuccini che lo accolsero come fratello laico, ma anche qui dopo otto mesi di noviziato fu rimandato in famiglia “perché non idoneo ed habile alle fatiche solite a farsi dai laici tra noi cappuccini”. Ritentò coi francescani della Grottella dove, con la complicità di un frate sacrista che lo teneva nascosto in una soffitta vicina al convento, finalmente fu ricevuto, prima come fratello laico, poi come chierico, arrivando così al sacerdozio il 18 marzo 1628. Per circa dieci anni svolse il suo ministero a Copertino, adattandosi anche agli uffici più umili come quelli di questuante, di cuoco o di addetto alle pulizie del convento.

Si faceva notare per lo spirito di preghiera, l’ardente devozione eucaristica e mariana, per la sua umiltà e giovialità, per la predilezione verso i poveri, i malati e i bambini. Intanto il Signore lo gratificava di doni straordinari: durante la celebrazione della messa e la recita del breviario, emettendo un forte grido, il santo “volava” verso il luogo di attrazione che poteva essere il tabernacolo, l’immagine della Vergine, un crocifisso, la statua di un santo. A Copertino, ad esempio, mentre nel monastero delle clarisse si svolgeva la vestizione di alcune postulanti, all’udire il canto Veni Creator Spiritus, fra Giuseppe fu visto avvicinarsi al predicatore, prenderlo in braccio e sollevarlo con sé fino al soffitto, fissando l’ostia esposta. Questi fenomeni misteriosi non potevano non attirare l’attenzione dei frati e dei fedeli. Il nuovo superiore della provincia religiosa a cui Giuseppe apparteneva, Padre Antonio da Santo Mauro, gli aveva chiesto di visitare i conventi sotto la sua giurisdizione per favorire una migliore vita comune. Il santo, risalendo la penisola salentina, sostò nelle comunità di Rutigliano, Bitonto, Corato e Giovinazzo. In quest’ultima località gli eventi straordinari che si verificavano furono occasione di gravi accuse di alcuni confratelli contro fra Giuseppe che fu convocato presso il Sant’Uffizio di Napoli dal tribunale dell’inquisizione. Ricevuta la lettera, egli la baciò in segno di piena sottomissione e partì immediatamente per il convento di San Lorenzo Maggiore, nella città partenopea. Qui si ripeterono estasi e levitazioni, davanti agli stessi giudici dell’inquisizione che, dopo averlo esaminato per tre volte, si convinsero della sua sincerità. “Compatitemi” ripeteva lui accennando ai suoi voli “ché sono difettidi natura”. Tuttavia, per renderlo più libero spiritualmente, si decise di inviarlo in un altro convento: prima a Roma dove, superata la diffidenza iniziale, il superiore generale dei conventuali lo presentò a Urbano VIII, davanti al quale il santo spiccò un altro dei suoi memorabili voli. Il papa, “per levarlo dalla curiosità del mondo”, lo destinò al sacro convento di Assisi.

Lì viveva praticamente segregato nella cella dove pregava e si cibava, non essendogli concesso neppure di partecipare agli atti liturgici insieme ai confratelli, mentre lui si sentiva sacerdote e avrebbe voluto predicare, confessare e insegnare. Accettò comunque sempre tutto in perfetta obbedienza, solendo ripetere: “Amate Dio, perché chi ha carità è ricco e non lo sa”. Riuscirono a incontrarlo in via eccezionale Giovanni Casimiro Waza, che diventò poi re di Polonia, Giovanni Federico di Sassonia, che abiurò il luteranesimo e si fece apostolo del cattolicesimo tra gli eretici, e l’infanta suor Maria di Savoia, la quale ebbe con il santo un nutrito rapporto epistolare. In segno di stima, Assisi gli conferì solennemente la cittadinanza onoraria. Poiché però la sua cella e i suoi oggetti personali erano diventati occasione di culto per molti fedeli, Innocenzo X nel 1657 lo fece trasferire in luoghi più solitari: prima nei conventi cappuccini di Pietrarubbia, nel Montefeltro, e di Fossombrone, e infine a Osimo, con disposizioni ancor più severe che vietavano di scrivere e ricevere lettere, incontrare persone eccetto i frati della comunità e i superiori. Lui come sempre obbedì con gioia, e grazie alla sua presenza, Osimo diventò “un cenacolo di anime fervorose” come confermò al papa un suo nipote, il vescovo del luogo Antonio Bichi. Agli inizi del 1663, il santo predisse che sarebbe morto entro l’anno. Il suo fisico provato dalla vita austera, dal poco cibo e dalle tante privazioni cedette sotto l’azione di forti febbri accompagnate da perdite di sangue. Alessandro VII, informato delle sue precarie condizioni, gli inviò la sua benedizione, che Giuseppe ricevette in piedi in segno di rispetto. I due medici che lo assistevano continuamente furono spettatori di frequenti estasi durante le quali il suo volto risplendeva “come se fosse circondato da raggi solari”. Entrato in agonia il 18 settembre, ripeteva continuamente con voce flebile: “O Signore, consuma questo cuore; prendi, o Gesù, questo cuore”. Morì verso mezzanotte. Nonostante la più assoluta segregazione in cui era vissuto, fu tale il concorso di popolo, che solo a notte avanzata del 19 il corpo venne deposto in una duplice cassa e la mattina del 20 sepolto sotto il pavimento della cappella dell’Immacolata nella chiesa di San Francesco. Molti miracoli si verificarono subito per sua intercessione e lo stesso pontefice Alessandro VII attribuì la guarigione da una grave malattia all’aver indossato la tonaca usata da Giuseppe. Beatificato il 24 febbraio 1753 e canonizzato il 16 luglio 1767, egli è considerato patrono degli studenti e degli esaminandi, sia per come riuscì a superare gli esami per il sacerdozio, da lui attribuito alla Vergine, sia per le lunghe veglie notturne sui libri, al fioco lume di una lucerna. La devozione per il santo è diffusa in tutto il mondo. L’aviazione cattolica anglosassone lo ha eletto suo patrono. Nel 1953, gli abitanti di Osimo fecero dono del cuore del santo a quelli di Copertino.

(Testo di: di Angelo Montonati)