San Paolo Store

08/02/2018

San Girolamo Emiliani

Lo hanno chiamato “padre degli orfani” questo nobile veneziano che trovò nella prigionia la spinta radicale verso la santità. Girolamo Emiliani (o Miani, come veniva chiamato popolarmente) era nato a Venezia nel 1486 da una famiglia patrizia: sua madre, Eleonora Morosini, lo aveva allevato cristianemente. Intrapresa a vent’anni la carriera pubblica, come si confaceva al suo rango, nel 1511 si trovò coinvolto, in qualità di Castellano reggente a Castelnuovo di Quero sul Piave, al posto di suo fratello Luca ferito in guerra, negli scontri fra le truppe della Serenissima e quelle della Lega di Cambrai e il 26 agosto, durante l’assedio nemico alla sua piazzaforte, fu catturato e imprigionato. L’esperienza del carcere provocò in lui una profonda trasformazione interiore, per cui promise alla Madonna di cambiare vita. Liberato misteriosamente un mese dopo per intercessione della Vergine, passando inosservato tra i nemici riuscì a aggiungere Treviso, dove nel santuario di Santa Maria Maggiore sciolse il suo voto promettendo di dedicarsi ad aiutare i poveri, gli infermi e gli orfani. Tornato a Castelnuovo nel 1516, tre anni dopo era nuovamente a Venezia per prendersi cura di tre nipoti e della cognata, essendo morto nel frattempo suo fratello. A questi si aggiunsero nel 1527 altri tre nipoti, figli di un altro fratello, Marco, deceduto pochi mesi prima. Da allora Girolamo si consacrò interamente a Dio, stimolato dalle esperienze spirituali e caritative che caratterizzavano la rinascita religiosa del Cinquecento. Decisivo per lui fu l’incontro con Giampietro Carafa, il futuro papa Paolo IV, diventato suo direttore spirituale, e con san Gaetano Thiene, che aveva fondato l’ospedale degli Incurabili: qui e in quello detto del Bersaglio, Girolamo cominciò a prestare la sua assistenza. Un grave problema di quei tempi era costituito dai numerosi orfani, conseguenza delle guerre e delle epidemie ricorrenti: egli cominciò a raccoglierli dalla strada, ospitandoli nella sua casa, dove erano curati, catechizzati e avviati ad un lavoro. Più tardi, essendo cresciuto il loro numero, istituì per loro il Pio Luogo san Basilio, primo nucleo delle sue future fondazioni. In quegli anni di grande carestia, il santo fu colpito da tifo petecchiale, riducendosi agli estremi.  Tuttavia riuscì a salvarsi e in seguito a questa guarigione decise di rinunciare definitivamente a ogni proprietà a favore dei nipoti per dedicarsi interamente ai poveri e ai sofferenti: il 16 febbraio 1531 abbandonò tutto, smise gli abiti del suo rango, vestendosi come uno del popolo e si ritirò presso il Bersaglio. Dopo aver aperto una nuova bottega per i suoi orfani, fu invitato a trasferirsi con essi presso l’ospedale degli Incurabili. Da allora cominciò una singolare missione itinerante in varie città della Repubblica di Venezia e dello Stato di Milano, per istituirvi o riorganizzarvi orfanotrofi e ricoveri per le “convertite”. Prima tappa fu Verona, poi eccolo a Brescia, dove aprì l’orfanotrofio della Misericordia, quindi a Bergamo, a Milano, dove Francesco Sforza gli fece assegnare una casa di pertinenza dell’ospedale Maggiore per sistemarvi i suoi orfani, a Pavia e a Como, dove diede vita a diverse case di accoglienza per orfanelle e di riabilitazione per prostitute pentite.

Vi introdusse la disciplina del lavoro e un sistema pedagogico basato su una solida educazione religiosa, morale e civile. L’amministrazione delle varie case era affidata a delle confraternite di laici presenti in ciascuna città. Volta per volta egli riuscì a coagulare attorno a sé gruppi di collaboratori – sacerdoti e laici – disposti a condividere le fatiche della carità: nacque così la Compagnia dei Servi dei Poveri che avrebbe preso forma stabile a Somasca, un piccolo villaggio nella valle di san Martino, tra Bergamo e Lecco, dove il santo aveva deciso di stabilirsi: anche qui raccolse numerosi orfani e fondò una bottega, una scuola per la loro istruzione e una sorta di seminario per coloro che desideravano unirsi a lui nella cura materiale e spirituale degli ospiti delle varie case. Verso la fine del 1536, durante un giro di visite alle sue opere, ricevette una lettera del Carafa, che stava per essere insignito della porpora cardinalizia e lo invitava a Roma con alcuni compagni per aprirvi un orfanotrofio. Ma egli, riunita a Somasca la comunità, disse: “Ecco io sono chiamato contemporaneamente a Roma e al cielo, ma il viaggio al cielo impedirà quello di Roma. Sia fatto però di me secondo il beneplacito divino”. In quel periodo, nella valle di san Martino era scoppiata un’epidemia di peste e Girolamo si prodigò, come già nove anni prima a Venezia, nella cura dei suoi orfani colpiti dal morbo, venendone irrimediabilmente contagiato. Prima di mettersi a letto, aveva disegnato sulla parete della sua stanzetta una grande croce sulla quale fissare lo sguardo durante la malattia. All’alba dell’8 febbraio 1537, col nome di Maria sulle labbra, Girolamo chiudeva la sua operosa giornata terrena. Nel 1540, papa Paolo III dava la sua approvazione alla Compagnia, che nel 1568 sarebbe stata elevata da san Pio V a vera e propria congregazione col titolo di Chierici Regolari di Somasca, i cui membri sono oggi conosciuti come somaschi. Girolamo Emiliani fu beatificato, dopo una lunga serie di processi canonici, da Benedetto XIV, antico discepolo dei somaschi, il 29 settembre 1747. A canonizzarlo fu invece Clemente XIII il 12 ottobre 1767. Pio XI il 14 marzo 1928 lo  proclamava “patrono universale degli orfani e della gioventù abbandonata”. Nella basilica di San Pietro, a Roma, è stata collocata una statua del santo tra quelle dei fondatori di ordini religiosi. A Somasca, ancora oggi si può ammirare –  percorrendo una salita fiancheggiata da una dozzina di cappelle con gruppi scultorei che raccontano episodi salienti della vita del santo – il piccolo eremo dove egli si ritirava in preghiera e la pietra sulla quale dormiva.
(di Angelo Montonati)