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25/05/2018

SAN BEDA

Leone XIII, il 13 novembre 1899, proclamava san Beda dottore della Chiesa, fissandone la festa liturgica al 27 maggio. Adempiva così ad un vivo desiderio espresso al suo predecessore Pio IX dall’episcopato inglese, dando così il meritato riconoscimento ad un monaco che, con sant’Isidoro di Siviglia, rappresenta la maggior figura di erudito dell’alto Medioevo e uno dei padri della cultura posteriore.
Beda nacque nell’anno 672-673 in Northumbria, terra celebre per le sue vestigia romane, ma soprattutto per la grande fioritura monastica che la caratterizzò, e più precisamente, nel luogo dove san Benedetto Biscop avrebbe fondato, nel 674, l’abbazia benedettina di Wearmouth dedicata a san Pietro, alla quale si sarebbe aggiunta, nel 682, quella di san Paolo apostolo a Jarrow, una decina di chilometri poco più a nord: considerate entrambe per la loro vicinanza un unico monastero con un unico abate, il fondatore. E a Jarrow il santo trascorse tutta la sua vita “consacrandomi” come lui stesso confesserà “interamente alla meditazione delle Scritture, e tra l’osservanza della disciplina regolare e la cura quotidiana di cantare l’ufficio in chiesa, ebbi sempre carissimo lo studio, l’insegnare, lo scrivere”.
A diciannove anni gli fu conferito il diaconato e a trent’anni – l’età canonica di allora – fu ordinato sacerdote. La sua spiccata intelligenza gli consentì di assimilare perfettamente il latino e di imparare bene il greco, acquisendo anche una conoscenza elementare dell’ebraico: di queste lingue si servì per la giusta interpretazione della sacra Scrittura e delle fonti storico-letterarie. Lo studio gli fu sicuramente agevolato dall’abbondanza di preziosi manoscritti che i due abati – prima il Biscop, poi il suo successore san Ceolfrido – gli portavano dai frequenti viaggi in continente e a Roma: di essi, pur di averli sempre a disposizione, Beda si improvvisava amanuense per copiarli e correggerli. Ceolfrido riuscì a raddoppiare la biblioteca dei due monasteri, facendo inoltre trascrivere in tre esemplari l’intera Bibbia nel testo della Vulgata latina: uno di questi è conservato a Firenze nella biblioteca Laurenziana.

L’insegnamento e la fama della sua dottrina procurarono al santo amici importanti, stimolandolo a comporre per loro numerose opere. Il complesso della sua produzione – a parte quella di carattere storico – nei 52 anni di vita monastica è soprattutto legato alla sua attività di docente. Lui stesso ce ne ha lasciato un catalogo in calce alla sua Historia ecclesiastica. La parte maggiore è costituita dalle opere esegetiche: si tratta di commenti ai libri della Bibbia, nei quali si rifà alle interpretazioni dei Padri, specialmente Girolamo e Agostino, scelte con criterio e corredate da proprie osservazioni. Tra l’altro, Beda è il primo a proporre la teoria dei quattro sensi interpretativi: storico, morale, allegorico e mistico. A questo gruppo di scritti appartengono anche una cinquantina di Omelie, a commento di brani evangelici. Per amore di verità e con esemplare umiltà, il santo indica a margine, mediante le iniziali degli autori, i testi che gli sono serviti da fonte per i suoi commenti e, con rara precauzione, raccomanda vivamente agli eventuali copisti di conservare tali indicazioni marginali: non vuole che gli venga attribuito ciò che è di altri. Un’importanza speciale ha il De locis sanctis, estratto da un’opera omonima di un suo amico, che contribuì nel Medioevo a migliorare la conoscenza dei Luoghi santi. Tra le opere didascaliche si segnala per originalità il De orthographia, un dizionarietto di parole corredato da brevi note grammaticali e lessicali e soprattutto da interessanti accenni ai sinonimi. La parte migliore degli scritti è comunque quella di carattere storico. Accanto alla storia degli abati dei due monasteri di Wearmouth e Jarrow e alle vite dei santi Cuthberto, Felice di Nola e Anastasio, ecco l’accuratissimo Martyrologium, primo esempio dei cosiddetti “martirologi storici”, precursori dell’attuale Martirologio romano.

Ma la sua opera principale, il capolavoro che gli ha meritato il titolo di “Padre della storia d’Inghilterra”, resta la Historia ecclesiastica gentis anglorum in 5 libri, scritta su invito dell’amico Albino e dedicata, nel 731, al re di Northumbria Ceovulfo. Dopo una descrizione del paese attinta da Plinio, Orosio e Solino, egli si serve di fonti proprie per narrare il processo di cristianizzazione della nazione, unendo la storia civile e quella della Chiesa, con metodo prevalentemente biografico, il che fa di quest’opera il primo esempio di una vera storia nazionale, un documento fondamentale. Una nota peculiare della Historia è la romanità: in queste pagine si coglie il senso della Chiesa di Roma. L’autore si sofferma sulla pietà semplice e profonda che spinge tanti nobili e re del suo paese a intraprendere il pellegrinaggio verso la sede di Pietro per ricevervi, come fece nel 688 re Cedwalla, il battesimo o per vestirvi l’abito monastico come re Ina nel 725. Grande ammirazione egli dimostra per la storia dei regni del Sud e per l’opera dei missionari venuti da Roma, mentre lascia alquanto in ombra quella, pur tanto importante, dei missionari irlandesi e scozzesi. Discorso a sé meriterebbe la Cronaca delle sei età del mondo, che si svilupperà poi nel De ratione temporum, dove merito non secondario di san Beda è l’avere introdotto per primo il computo delle date ab incarnatione Domini, cioè partendo dalla nascita di Cristo, secondo l’“era cristiana” di Dionigi il Piccolo, il monaco vissuto con Cassiodoro in Calabria a Vivarium (Squillace) e passato poi a Roma dove morì nel 540.

Degli scritti ascetici attribuiti a Beda, pochi possono dirsi genuini; particolarmente significativi tra quelli dubbi sono il De remediis peccatorum, il famoso Penitenziale Beda che godette di straordinaria autorità nel Medioevo, e l’opera intitolata Excerptiones patrum, contenente tante curiosità: tra queste, ad esempio, i nomi dei due ladroni crocifissi accanto a Gesù, Matha (quello buono) e Joca Temperamento enciclopedico, si può dire di lui che possedette tutte le scienze coltivate ai suoi tempi. Il suo influsso si fece sentire soprattutto attraverso la scuola di York che, con Alcuino, trapiantò il sapere anglosassone nella civiltà carolingia e conseguentemente in quella europea. Fu tale la sua fama, che l’anno della morte fu registrato anche nelle cronache del continente come un fatto memorabile.
Beda morì il 25 maggio dell’anno 735 in concetto di santità e venerato in patria come santo subito dopo il suo transito. Al concilio di Aquisgrana nell’836 fu salutato col titolo di venerabilis et modernis temporibus doctor admirabilis. Come epiteto stabile, il termine Venerabilis cominciò ad apparire solo sui cataloghi del secolo XI. Le sue reliquie furono riunite a quelle di san Cuthberto, che erano già state trasferite a Durham nel 995 per difenderle dalle scorrerie danesi. Nel 1155, dopo una ricognizione, furono collocate in un’urna propria, riccamente ornata d’oro, d’argento e pietre preziose. Nel 1373 gli fu eretto anche un monumento in marmo. Ma nel 1541, durante la riforma protestante scatenata da Enrico VIII, tra le molte reliquie anche quelle del santo furono profanate e disperse. Secondo una tradizione, le ossa finirono poi in una grande tomba. Furono esaminate nuovamente nel 1831, senza peraltro riuscire a ricomporre integralmente lo scheletro, forse perché una parte di esso era già stato collocato a Jarrow o in altre chiese. Leone XIII, nel dichiarare san Beda dottore della Chiesa, volle che a Roma sorgesse in suo onore un collegio ecclesiastico inglese, il Pontificio Collegio Beda, che tra gli altri fini avesse quello di accogliere i convertiti inglesi che aspiravano al sacerdozio.