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RICORRENZA DEL GIORNO

20/01/2014

SuperSic

Il 23 ottobre 2011 Marco Simoncelli ha appena ventiquattro anni (è nato il 20 gennaio 1987) ed è  alla seconda stagione in MotoGp, la serie più prestigiosa del motomondiale. Non lotta per il titolo, potrebbe mollare l’acceleratore, limitarsi a passeggiare. Non lo fa, è contro la sua natura. Nel corso del secondo giro perde il controllo della Honda e, nel tentativo di rimanere in sella, taglia la pista in modo trasversale e viene travolto dai piloti che giungono a gran velocità alle sue spalle. L’impatto è duro, così violento che gli sfila il casco. Marco batte la testa, la schiena. Muore sul colpo. I colleghi, i tifosi, la famiglia… rimangono tutti senza fiato.
Prima di essere un campione e un personaggio pubblico, SuperSic era un ragazzo. Un bravo ragazzo. Nascosto da  una massa di capelli ricci e disordinati, aveva un volto allegro e disponibile. Sempre positivo. Un po’ folle, come quello di tutti coloro che fanno un certo tipo di sport. Simoncelli è morto facendo ciò che gli piaceva fare, ciò che amava sopra ogni cosa.
C’è chi gliene fa una colpa, chi dice: “E' stupido morire in questo modo”. Forse. Certe cose, però, sono più forti di ogni ragione, di ogni moderazione. Ci sono, si fanno sentire. Rappresentano una sorta di chiamata. Gli alpinisti che arrampicano gli ottomila, i paracadutisti che si buttano nel vuoto… se gli chiedete: “Perché lo fai?”, rispondono: “Non posso fare altrimenti”. E se chiedete: “Sai cosa rischi?”, la risposta è la stessa: “Certo, ma preferisco morire facendo ciò che amo, piuttosto che vivere una vita di rimpianti”. Forse non è un punto di vista condivisibile. Però, in qualche modo, è ammirevole.