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RICORRENZA DEL GIORNO

11/01/2014

Parmigianino

Girolamo Francesco Maria Mazzola, nacque l’11 gennaio 1503 da una famiglia di artisti originari di Pontremoli ma trasferitisi in vicolo dell’Asse a Parma, città che diede il soprannome di Parmigianino a questo giovane dall’aspetto minuto e gentile. Si avvicinò da bambino all’arte recandosi a bottega dagli zii pittori, Pier Ilario e Francesco Mazzola. Guardando al Correggio attirò la sua attenzione con i primi affreschi nella chiesa di san Giovanni Evangelista. Nonostante all’epoca avesse solo 12 anni, e questo primo lavoro fu sicuramente legato ad una committenza rivolta agli zii, il Vasari lo considerò già pienamente autonomo quando, sedicenne, lavorò a un Battesimo di Cristo:

dopo aver fatto miracoli nel disegno, fece in una tavola di suo capriccio, un San Giovanni che battezza Cristo, il quale condusse di maniera, che ancora chi la vede resta maravigliato che da un putto fusse condotta sì bene una simil cosa. Fu posta questa tavola in Parma alla Nunziata, dove stanno i frati de' Zoccoli”.

Nel 1524 lasciò Parma e partì per Roma, dove rimase sino al sacco del 1527 quando, rientrato in Emilia, si stabilì a Bologna. Una delle opere più emblematiche di questo periodo fu sicuramente il dipinto raffigurante la Madonna della Rosa. Commissionata da Pietro Aretino in occasione dell’arrivo in città di Clemente VII, questo quadro rappresenterebbe in realtà una Venere con Cupido: se il globo, il braccialetto di corallo al polso del bambino e la rosa, farebbero pensare ad un soggetto sacro, la posa del fanciullo stesso e le trasparenze della veste della donna, darebbero al tempo stesso al’opera un tocco sensuale e profano.  Rientrato a Parma nel 1530, Girolamo, iniziò ad interessarsi in maniera sempre più ossessiva all’alchimia. Scrisse Vasari:

Et questo fu ch'egli stillando cercava l'archimia dell'oro, et non si accorgeva lo stolto, ch'aveva l'archimia nel far le figure; […]Perché tenendo egli di molti fornelli et spese, non poteva riscuotere tanto dell'opera, quanto in tal cosa consumava. La qual pazzia fu cagione, ch'egli lasciato per dilettazione di tal novella, la utilità e il nome dell'arte propria, per la finta et vana, in malissimo disordine della vita e dell'animo si condusse”.

Questa mania causò al pittore un grave danno economico, conducendolo alla pazzia. Morì a Casalmaggiore il 24 agosto 1540.