RICORRENZA DEL GIORNO
07/09/2013
Lucio Fontana
Tutti ricordiamo la prima reazione che abbiamo avuto di fronte a un quadro di Picasso o a una scultura di Mirò: “E questa? Sarebbe un’opera d’arte?”.
Figurarsi di fronte a un Fontana: una tela, un taglio, qualche buco...“e poi?!”.
Diciamo la verità, quando entriamo in un museo di arte contemporanea, il più delle volte siamo disorientati. Sarà capitato anche a voi: siete lì, come Alberto Sordi alla Biennale di Venezia, state osservando un’opera, magari vi state pure dando un tono, e un vostro conoscente sbuca alle spalle e vi chiede a bruciapelo: “Che cos’è?”
La domanda vi coglie di sorpresa. Vi risuona nella testa ("già, che cos'è?"). Riguardate l’opera, la studiate (“eppure”, vi dite, “se è in un museo deve esserci un motivo…”). Bofonchiate qualcosa. Passate alla successiva.
Consolatevi, non siete soli. Per comprenderla, non abbiamo scelta: dobbiamo seguire (molto sommariamente) l'evoluzione della pratica artistica.
Partiamo dal principio.
L’arte classica trova il bello nel Canone, nelle proporzioni e nell’armonia delle forme. E il bello, che ha sempre una caratterizzazione morale, è immediatamente percepibile.
Lo stesso vale per l’arte medioevale e l'arte moderna: il rinascimento, il barocco, il neoclassico, il romanticismo… esprimono visioni e intenzioni differenti, ma le veicolano sempre attraverso la “bella forma”.
Poi arriva l’arte contemporanea. E cambia ogni cosa.
Il bello passa in secondo piano. La forma diventa provocazione, spaesamento; l’occasione per una riflessione.
Spesso, però, la volontà di scuotere lo spettatore diventa fine a se stessa, e si declina in proposte volgari o, nel migliore dei casi, banali (non c’è niente di più banale di chi vuole essere originale a ogni costo).
Ci sono, però, delle eccezioni. Lucio Fontana (19 febbraio 1899 - 7 settembre 1968) è una di queste.
Nato a Rosario, in Argentina, da genitori italiani, è il fondatore del Movimento Spazialista. Le sue opere, i tagli nelle tele sono il manifesto del suo pensiero: la distinzione tra pittura e scultura va superata. Il supporto (la materia) è tagliato, bucato. Il suo interno diventa esterno, intreccia un nuovo gioco con la luce e l'ombra. Lo spazio perde la sua staticità, si apre a suggestioni che non sono immediatamente visibili. I pennelli lasciano il campo a lame, coltelli, taglierini. E, se il risultato non vi convince vale la pena ricordare ciò che dice Bruno Munari: “Quando qualcuno dice 'questo lo so fare anch'io' vuol dire che lo sa rifare altrimenti lo avrebbe già fatto prima”.
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