Le elezioni presidenziali del 2000 vedono contrapposte due diverse idee di mondo: da una parte Al Gore, democratico e vice dell’uscente Bill Clinton, dall’altra George W. Bush, repubblicano e primogenito dell’ex Presidente. Nonostante si voti il 7 novembre, viste le polemiche e le difficoltà di conteggio, la proclamazione - che premia il repubblicano - si ha soltanto il 12 dicembre, in seguito all’intervento della Corte Suprema degli Stati Uniti. Ed è per questo che ne parliamo (anche se oggi siamo obbligati se non ad approfondire quantomeno a ricordare uno degli eventi più drammatici e significativi della storia italiana, la strage di Piazza Fontana, avvenuta a Milano il 12 dicembre 1969). Ne parliamo non solo perché, visti gli ultimi sviluppi, le elezioni sono un tema stringente e quanto mai attuale. Neppure perché, stando alla volontà del presidente Napolitano, la riforma della legge elettorale sarebbe dovuta essere l’unica cosa di cui avrebbe dovuto occuparsi il Parlamento mentre il governo Monti provava a raddrizzare il Paese (pronti a scommettere che si voterà con il vecchio e caro, si fa per dire, Porcellum?). Ne parliamo perché l’incertezza delle elezioni, la difficoltà a giungere a un risultato certo e garantito al mille per mille, è una questione vitale, che investe anche uno dei fenomeni politici più innovativi del momento, il Movimento a Cinque Stelle di Beppe Grillo.
Non è nostro compito dare giudizi o prendere posizione, ci limitiamo a osservare cosa succede: qualche giorno fa gli attivisti del Movimento hanno votato online il proprio candidato per il Parlamento (mica per il condominio...). Il problema si è presentato subito dopo: chi garantisce sulla regolarità? Chi raccoglie i dati? Chi ne certifica la correttezza? Stando a quel che si capisce, gli “arbitri” sarebbero in qualche modo gli stessi "giocatori", Grillo e Casaleggio.
Ci chiediamo soltanto: è questa la tanto auspicata “democrazia dal basso”?