RICORRENZA DEL GIORNO
01/09/2013
La strage di Beslan (2004)
L’Ossezia del Nord è una repubblica autonoma nella regione caucasica della Federazione Russa; Beslan la terza città del Paese.
È il primo settembre: una giornata speciale. È il “Giorno della Conoscenza”, l’inizio della scuola. È un giorno di festa. Secondo la tradizione, gli alunni del primo anno donano un fiore a quelli più grandi, quelli più grandi li accompagnano nelle loro classi. Quel giorno, quel primo settembre 2004, la scuola Numero 1 è gremita: ci sono genitori, nonni, zii, fratelli…
Improvvisamente: una trentina di persone con il volto coperto e armate di mitra e pistole irrompe sulla scena. Spara in aria,costringe i bambini, le famiglie e gli insegnanti nell’edificio. Arriva la polizia locale, c’è una breve colluttazione. Il commando si barrica all’interno della scuola, se ne impossessa. Prende in ostaggio circa millecento persone, le costringe nella palestra. Le minaccia: "Non parlate, non muovetevi, non fiatate". Come gesto dimostrativo, spara e uccide circa venti ostaggi. Butta i corpi fuori dalla finestra. Costringe alcuni bambini a pulire il sangue dal pavimento.
La scuola è circondata dalle forze dell’ordine, dall’esercito, dalle forza speciali.
I sequestratori minarono la palestra e il resto dell'edificio. Avvertono, ricattano: "Per ognuno di noi che muore, ne uccidiamo cinquanta".
Sono ore infinite. Piene di terrore. Il mondo assiste con il fiato sospeso.
Passa un giorno. Passa il secondo. I terroristi (ceceni, musulmani, ortodossi; uomini, donne) non cedono: rifiutano di consegnare cibo, acqua e medicine agli ostaggi. Li tengono al caldo, ammassati. Senza aria. Alcuni svengono. Altri piangono di nascosto. Sono bambini, sono genitori, sono insegnati. Ventisei vengono liberati.
È il terzo giorno. Le forza speciali russe fanno irruzione. È un massacro, muoiono 334 persone: 186 bambini, 31 sequestratori, ufficialmente un solo poliziotto. La maggior parte dei sopravvissuti riporta ferite da ustione e arma da fuoco. Perde la propria famiglia, perde ogni cosa.
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