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RICORRENZA DEL GIORNO

16/06/2013

La rivolta di Soweto (1976)

Negli anni Sessanta, il National Party, il braccio politico degli afrikaner (la comunità bianca presente nel continente africano), governa il Sudafrica con politiche repressive e segregazioniste: gli uomini di colore, i bantu, non possono avere rapporti sessuali con persone dell’altra razza, non possono sposarsi, non possono accedere ad alcune aree, non possono condividere strutture e mezzi pubblici, non possono svolgere alcuni compiti. In poche parole, sono emarginati, sfruttati e umiliati. E i loro rappresentanti, i membri del l’ANC, l’African National Congress, sono costretti alla clandestinità, incapaci di reagire.
È l’1 gennaio 1975, il Segretario all’Educazione, un bianco, emana un decreto relativo all’insegnamento nelle scuole: l’afrikaans, la “lingua degli oppressori” (come la chiama Desmond Tutu), deve sostituire l’inglese, che, invece, è molto popolare tra la popolazione di colore.
È una “provocazione”, i neri la rifiutano. Gli studenti di Soweto, un sobborgo alla periferia di Johannesburg, formano un comitato, il Soweto Students' Representative Council, e indicono una manifestazione di protesta.
È il 16 giugno: migliaia di studenti  (delle medie e delle superiori) e professori marciano in direzione dello stadio. È un corteo pacifico, nelle prime file cappeggiano manifesti ironici e concilianti. Per evitare gli scontri con la polizia, che li attende in tenuta anti-sommossa, gli organizzatori modificano il percorso  e si dirigono verso la Orlando High School. Non serve, è già stato deciso: la manifestazione non deve proseguire. GLi agenti attaccano con i lacrimogeni. La folla indietreggia. Poi riprende, avanza. È un bagno di sangue, una piccola guerra: in pochi giorni, circa cinquecento persone vengono uccise e mille sono ferite. La repressione è cieca, brutale. Ma è destinata alla sconfitta: quel giorno comincia il movimento che nel 1994 porta alla sconfitta, alla fine dell’apartheid.