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RICORRENZA DEL GIORNO

18/07/2013

La pubblicazione del "Mein Kampf" (1925)

Qualche giorno fa abbiamo ricordato (attenzione, a scanso di equivoci: “ricordato” non certo “celebrato”!) il Manifesto degli Scienziati Razzisti con il quale, nel 1938, dieci studiosi  italiani (appoggiati, poi, da numerosi uomini di scienza e cultura) offriva presunte basi scientifiche alle teorie razziste e antisemite.
La memoria torna, oggi, a una data ancora più “cupa”, che ha segnato in modo profondo e drammatico la storia contemporanea: la pubblicazione del Mein Kampf (“La mia battaglia”), il manifesto politico del partito nazista.
Adolf Hitler comincia a comporlo nel 1924, durante l’anno di reclusione a Landsbergam Lech (dove era  stato incarcerato in seguito al tentato colpo di Stato – il putsch – organizzato e attuato a Monaco l’8 e 9 novembre 1923); oltre a una sorta di autobiografia, raccoglie il meglio (si fa per dire...) dell’ideologia hitleriana: il radicale e  violento antisemitismo (“gli ebrei sono indubbiamente una razza, ma non sono umani”), la presunta superiorità della razza ariana, la frustrazione per l’“ingiustizia” subita dalla Germania in seguito alla Prima Guerra Mondiale, il “destino” storico e messianico dei tedeschi (“a dominare sarà una razza superiore, una razza di padroni, che disporrà dei mezzi e delle possibilità di tutto il globo”) e il rifiuto di ogni parlamentarsimo.
Quando, nel 1933, Hitler raggiunge il potere, il libro vende più di un milione e mezzo di copie; in dieci anni, raggiunge i dieci milioni, divenendo il testo fondamentale del regime nazionalsocialista. Dice Primo Levi: “A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che 'ogni straniero è nemico'. Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e non coordinati, e non sta all’origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il Lager. Esso è il prodotto di una concezione del mondo portata alle sue conseguenze con rigorosa coerenza: finché la concezione sussiste, le conseguenze ci minacciano”.