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RICORRENZA DEL GIORNO

09/08/2013

La bomba atomica su Nagasaki (1945)

Fat man, si chiamava così. Era la “sorellina” di Little boy, la prima bomba atomica della storia: lanciata sulla città di Hiroshima il 6 agosto 1945, pochi giorni prima della fine della Seconda Guerra Mondiale, aveva causato la morte istantanea di più di settantamila persone (segnando per sempre le generazioni future: per via delle radiazioni, le donne incinta avevano perso i propri figli o partorito bambini deformi) e la distruzione (disintegrazione) di gran parte della città.
Evidentemente non era bastato.
I giapponesi non si erano arresi. Gli americani non si erano resi conto di ciò che avevano causato: volevano mostrare di potere colpire ancora e ancora; volevano spaventare il nemico, metterlo in ginocchio, costringerlo alla resa. Avvertire il mondo.
Little Boy, come la maggior parte delle bombe, aveva la forma di un sigaro; Fat man, invece, ricordava un uovo: era lunga due metri e trenta, aveva un diametro di circa un metro e cinquanta, pesava più di quattromila chilogrammi, ed utilizzava il plutonio come esplosivo.  
Se Little Boy aveva viaggiato a bordo dell’Enola Gay, comandato dal colonnello Paul Tibbets, il compito di portare e sganciare Fat man era spettato a Charles Sweeney, maggiore dell’United States Army Air Forces.

Alle 3.49 del 9 agosto, nel buio di una notte che non sarebbe mai finita, il B-29 americano si era levato dal terreno e si era diretto verso Kokura, l’obiettivo originario della spedizione.
Alle 10.20 aveva fatto retromarcia: le nuvole sopra la città impedivano la visuale; dopo tre tentativi aveva rinunciato. E puntato un nuovo obiettivo.
Alle 11.56 era giunto sopra Nagasaki, situata sulla costa occidentale dell'isola di Kyushu.
Alle 11.58, aveva sganciato la bomba.
Fat man era esplosa a circa seicento metri di distanza dal suolo, per sortire maggiori effetti possibili.
Il risultato, come era già stato a Hiroshima, era stato apocalittico: al posto della città era rimasto un ammasso di mattoni frantumati, sassi, polvere, legno. E, soprattutto, cadaveri e corpi feriti, ustionati, sfigurati, per sempre segnati dalle radiazioni.