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RICORRENZA DEL GIORNO

02/11/2013

L'omicidio van Gogh (2004)

È un terreno accidentato sul quale non vogliamo inoltrarci. Non ne abbiamo l'autorità. E questo, soprattutto, non è il contesto. Abbiamo a disposizione poche righe, non bastano a sviluppare analisi e ragionamenti, a prendere in considerazione i pro, i contro, i fatti, gli antefatti. Non c’è spazio per approfondire.
Però.
È una data importante. Una sorta di spartiacque.
Theo van Gogh è un’artista (produttore, giornalista e regista) olandese. È un pensatore eclettico, originale, radicale. Bravo, piuttosto conosciuto.
L’arte, però, occupa solo una parte della sua vita. O, meglio, è strumentale ad altro, all’espressione di una idea, di un modo di vedere che rifiuta ogni compromesso.  Quando scrive, van Gogh non ha peli sulla lingua. È diretto, estremo. Non a caso viene licenziato più volte dai giornali con i quali collabora.
Le sue prese di posizione sono difficilmente catalogabili, le categorie "destra" e "sinistra" non appartengono al suo modo di vedere. C’è una cosa che lo ossessiona: la libertà. In quegli anni, è l’inizio del duemila, la fa coincidere con un rifiuto radicale dell’estremismo islamico.
In seguito alla morte dell’amico Pim Fortuyn, van Gogh si avvicina ad Ayaan Hirsi Ali, una scrittrice e politica di origini somale che si batte per la diffusione dei diritti umani nel mondo musulmano. È lei che scrive la sceneggiatura di Submission (“Sottomissione", uno dei possibili modi di tradurre il termine arabo "Islam"), cortometraggio che l’olandese dirige al fine di denunciare la condizione delle donne musulmane. Nel video, la donna è velata e sottoposta all’arbitrio di un parente. Sul suo corpo sono scritti alcuni versetti del Corano.
È un caso. Le reazioni, le condanne, gli apprezzamenti non si fanno attendere. Van Gogh viene colpito da una fatwa, è condannato a morte.  
Sono le 8.45 del 2 novembre 2004. Theo van Gogh cammina per le vie di Amsterdam. Mohammed Bouyeri, un militante fondamentalista con la doppia cittadinanza, olandese e marocchina, lo raggiunge. Spara due colpi. Sembra che, prima di accasciarsi, Van Gogh chieda: “Non possiamo parlarne?”. Bouyeri si accanisce. Spara altri quattro colpi. Gli taglia la gola e infilza un coltello nella pancia. Appuntata al pugnale lascia una lettera che chiama alla Jihad contro gli infedeli.

Sono passati sette anni. È rimasta una questione: la libertà ha un limite? Quale? Chi lo stabilisce?