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RICORRENZA DEL GIORNO

30/07/2013

Ingmar Bergman e il cinema del silenzio

Cavaliere: Io voglio sapere. Non credere, non supporre. Voglio sapere. Voglio che Dio mi tenda la mano. Mi sveli il suo volto, mi parli.
Morte: Il suo silenzio non ti parla?


Sarebbe potuto essere un filosofo, un antropologo, uno psichiatra o persino un sognatore, se esistesse come mestiere. Invece è stato un regista. Niente di più ma, soprattutto, di meno. 
Ingmar Bergman è nato il 14 luglio 1928 a Uppsala (Svezia) e si è spento  il 30 luglio 2007 nella sua casa sull’isola di Faro, vicino Stoccolma.  

Proprio sull’isola, si racconta, aveva ricavato una sorta di cinema privato da una stalla e aveva preso l'abitudine di vedere un film ogni pomeriggio. A eccezione del giorno del suo compleanno, quando il film proiettato era sempre Il Circo di Charlie Chaplin, il suo preferito.
Entrato tra i cineasta di culto dopo aver vinto la Palma d’Oro nel 1956 con Il Settimo Sigillo, Bergman è ricordato come il regista dei lunghi silenzi “che dicono molto di più” o anche come il “pittore” del volto umano: primi e primissimi piani, infatti, sono il suo modo di scavare all’interno della “coscienza infelice”.
Travaglio interiore, incessante ricerca di verità e identità diventano le fondamenta del suo cinema permeato da una forte componente religiosa: nella ricerca della verità, d’altronde, la conciliazione con il  “Dio-ragno”, che guarda l’uomo sofferente, risulta necessaria.
La sua visione della vita non contempla una via di salvezza, eppure sembra trovare il suo riscatto (da un’infanzia e un’educazione troppo severe) proprio nel cinema: Io vivo sempre nella mia infanzia [...] Abito il mio sogno e di tanto in tanto faccio una visita alla realtà” (da Lanterna magica). Eppure nel suo sogno cinematografico è racchiusa tutta la realtà di un’epoca, di cui è diventato simbolo.