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RICORRENZA DEL GIORNO

23/12/2013

Il Disastro delle Ande

Non è una storia leggera. Anzi. Se non fosse vera, si potrebbe pensare a un'invenzione, a un racconto del terrore. E, in effetti, c’hanno scritto libri e girato film e documentari.
È una storia dura, estrema.
Un Fairchild F-227 dell’aviazione uruguayana parte da Montivedeo in direzione Santiago del Cile. Oltre ai cinque membri dell’equipaggio trasporta la squadra di rugby del Collegio Universitario "Stella Maris": sono quaranta tra giocatori, tecnici, parenti e famigliari, e devono disputare un incontro al di là della Cordigliera delle Ande.
Non si capisce il motivo, si parla di errore umano o di guasto alla strumentazione, fatto sta che alle 15.31 del 13 ottobre 1972 il velivolo impatta la cima di una montagna, si spezza e precipita. Delle quarantacinque persone a bordo, dodici muoiono nell'impatto, cinque la notte e il giorno successivo, per via delle ferite e del freddo. I sopravvissuti sono stremati, impauriti. Sconvolti. Si ripetono: “Verranno a cercarci, ci salveranno”.
Non è così.
Passano le notti e i giorni. È durissima. Il cibo e l’acqua scarseggiano, il freddo e il bianco della neve sono dappertutto, la paura e la follia sono in agguato.
Passano settantadue giorni prima che Roberto Canessa e Fernando Parrado, dopo una marcia forzata ed estenuante durata due settimane, giungono a valle, in Cile, e incontrano un contadino a cavallo, la salvezza loro e degli altri quattordici sopravvissuti. Una storia impressionante, di disperazione e coraggio, che ancora oggi lascia senza fiato.