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RICORRENZA DEL GIORNO

09/10/2013

Il Disastro del Vajont

9 ottobre 1963, ore 22.39
Una frana enorme, oltre duecentosettanta metri cubi di rocce e detriti, si stacca dalle pendici settentrionali del monte Toc e precipita nel bacino artificiale del Vajont a gran velocità, più di cento chilometri all’ora. L’impatto è violento, violentissimo. Per un istante il lago sembra sparire. Una nuvola bianca esolode a circa cento metri dal coronamento della diga. Al suo interno ci sono massi pesanti diverse tonnellate. L’urto provoca due onde gigantesche. La prima, a monte, si spinge al centro della vallata e spazza via alcune frazioni, Frasègn, Le Spesse, Cristo, Pineda, Ceva, Prada, Marzana e San Martino. Il comune di Erto viene risparmiato per pochi metri. La seconda supera lo sbarramento artificiale, la diga, e precipita a piombo nella gola sottostante.
Gli abitanti, a fondo valle, sentono il frastuono, percepiscono il pericolo. Non possono fare niente. È tutto molto veloce. E violento. L’onda si abbatte con violenza sul paese di Longarone: case, chiese, statue, strade e piazze vengono sommerse, le fondamente sradicate. Alcune frazioni (Rivalta, Pirago, Faè, Villanova, Codissago) vengono del tutto o parzialmente distrutte. A Pirago resta in piedi solo il campanile.
La morfologia delle valli del Vajont e del Piave viene sconvolta per sempre. Il numero dei feriti è inferiore alle vittime, che sono 1909.
Nel febbraio 2008, nel corso della presentazione dell'Anno internazionale del pianeta Terra dichiarato dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il disastro del Vajont è citato, con altri quattro, come un caso esemplare di "disastro evitabile" causato dalla scarsa comprensione delle scienze della terra e dal "fallimento di ingegneri e geologi nel comprendere la natura del problema che stavano cercando di affrontare".