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RICORRENZA DEL GIORNO

16/08/2013

Il Delitto Matteotti (1924)

Il 30 maggio 1924 Giacomo Matteotti, segretario del Partito Socialista Unitario (di cui fa parte Filippo Turati), prende parola alla Camera dei Deputati per opporsi al risultato delle elezioni del 6 aprile 1924 e alla vittoria del cosiddetto “listone fascista”: “Onorevoli colleghi”, esordisce, “contestiamo in questo luogo e in tronco la validità delle elezioni”. Dagli scranni della neo-maggioranza si alzano lamenti e improperi. Il deputato socialista prosegue, parla deciso, sicuro: “Noi abbiamo avuto da parte della Giunta delle Elezioni la proposta di convalidazione di numerosi collegi. Ci opponiamo a questa proposta perché, se nominalmente la maggioranza governativa ha ottenuto 4 milioni di voti, noi sappiamo che questo risultato è la conseguenza di una mostruosa violenza”. I fascisti urlano, si scaldano, interrompono, qualcuno cerca di avventarsi sull’oratore; Mussolini sta ad ascoltare, muto e impassibile. Matteotti prosegue, denuncia le illegalità, i brogli e gli abusi commessi dalle squadracce; non si cura delle minacce: “Noi deploriamo che si voglia dimostrare che solo il nostro popolo nel mondo non sa reggersi da sé e deve essere governato con la forza”, conclude, “ma il nostro popolo stava risollevandosi ed educandosi, anche con l'opera nostra. Voi volete ricacciarci indietro. Noi difendiamo la libera sovranità del popolo italiano al quale mandiamo il più alto saluto e crediamo di rivendicarne la dignità, domandando il rinvio delle elezioni inficiate dalla violenza alla Giunta delle elezioni.” Quando termina di parlare, si rivolge ai propri compagni: “Io il mio discorso l'ho fatto”, dice. “Ora voi preparate il discorso funebre per me”.


Il 10 giugno 1924 intorno alle quattro del pomeriggio, Matteotti esce di casa per recarsi in Parlamento. Cammina per il Lungotevere. Non lo sa, non può saperlo: uno, due, tre, quattro, cinque uomini lo aggrediscono e lo caricano a forza su un’automobile “nera, elegante, chiusa”. L’esponente socialista non si dà per vinto, si agita, prova a liberarsi. Non serve: viene pestato e, infine, ucciso a coltellate.
Il 16 agosto il corpo del deputato viene ritrovato dal cane di un brigadiere dei Carabinieri in licenza, Ovidio Caratelli. abbandonato in un bosco nel comune di Riano, a 25 km da Roma.
I suoi assalitori, difesi dal braccio destro del Duce, Roberto Farinacci, ricevono condanne lievi ed escono dal carcere dopo poco tempo. 
Il 3 gennaio 1925, Benito Mussolini si assume la responsabilità politica dell’ammazzamento: “Ebbene, dichiaro qui, al cospetto di questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto. Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda! Se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il fascismo è stato un'associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere! Se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico e morale, ebbene a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l'ho creato con una propaganda che va dall'intervento ad oggi”.