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RICORRENZA DEL GIORNO

27/07/2013

I cinquant'anni del K2

Il k2, situato in Himalaya, a cavallo tra Cina e Pakistan, è la seconda montagna più alta del pianeta (con i suoi 8.611 metri è seconda solo all’Everest, di 8.848); di sicuro è la più pericolosa (il tasso di mortalità è pari a circa il 25%: in pratica, parole povere e un po’ crude, uno scalatore su quattro non fa ritorno al campo base). Le difficoltà nascono da una combinazione di fattori (clima, latitudine, morfologia del terreno), e si manifestano, in particolare, in due zone vicine (si fa per dire…) alla cima: il “collo di bottiglia” (un corridoio stretto e verticale, di ghiaccio e roccia instabile) e il grande seracco (un blocco di ghiaccio strapiombante, grande quanto un edificio). Sono passaggi tecnici, difficili in condizioni normali, figurarsi a più di ottomila metri (la cosiddetta “zona della morte”): anche chi è acclimatato (ha un fisico allenato e preparato alle altitudini) fatica a mantenere la lucidità fisica (per allacciarsi uno scarpone, ad esempio, ci vogliono diversi minuti) e mentale (l’orientamento vacilla, la realtà e l’immaginazione si confondono, il tempo si dilata, il bianco della neve diventa claustrofobico).
Il K2, che in lingua balti si chiama Chogori (“la grande montagna”), è detto “la montagna degli italiani”: guidati dallo scienziato Ardito Desio, il 31 luglio 1954 Achille Compagnoni e Lino Lacedelli sono stati i primi a conquistarne la vetta (anche se non va dimenticato il ruolo fondamentale di Walter Bonatti, uno dei più forti scalatori di sempre, oltre che un grande uomo).
A cinquanta anni di distanza, Silvio “Gnaro” Mondinelli e Karl Unterkircher (scomparso sul Nagna Parbat nel 2008), membri di una nutrita spedizione italiana, celebrano l’impresa e il 27 luglio 2004 riportano il tricolore sulla cima della “montagna delle montagne”