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RICORRENZA DEL GIORNO

03/11/2013

Giuseppe Di Vittorio

Giuseppe di Vittorio nasce a Cerignola, in provincia di Foggia, il 11 agosto 1892 da una famiglia di braccianti. La morte del padre, nel 1900, lo costringe, giovanissimo, sui campi. Giuseppe, però, non demorde, è consapevole di quanto sia importante l’istruzione, per quanto rozza e improvvisata. Si dice che tenga un quadernetto sul quale annota tutti i termini sconosciuti che ode.    
Pur essendo di origini contadine, si avvicina a poco più di dodici anni alle lotte operaie. Scopre il sindacato, si schiera con i socialisti e, dopo la scissione di Livorno (1921), con i comunisti fino a essere eletto deputato nelle elezioni del ’24.
Dura poco. L’anno seguente il tribunale speciale fascista lo condanna al carcere, ma Di Vittorio fugge prima in Francia poi in Unione Sovietica poi di nuovo in Francia, dove prende contatto con il Partito Comunista clandestino. Dopo avere preso parte alla guerra civile spagnola, nel 1941 viene arrestato dalla polizia fascista e mandato al confino a Ventotene. Ci passa due anni, fino a quando, liberato dai partigiani, prende parte alla Resistenza. È eletto deputato all’Assemblea Costituente e diventa segretario della CGIL, ormai divisa dal neonato sindacato d’ispirazione cattolica, la CISL, e da quello d’ispirazione socialdemocratica, la UIL. Di Vittorio, però, non si fa schiacciare dall’ideologia, rimane un uomo semplice, pulito e concreto, attento agli interessi di chi rappresenta.  Non è un caso se nel 1956 si oppone all’intervento sovietico in Ungheria: “L'intervento sovietico contraddice i principi che costantemente rivendichiamo nei rapporti internazionali e viola il principio dell'autonomia degli Stati socialisti”.
Muore a Lecco il 3 novembre 1957, dopo un incontro con alcuni delegati sindacali. Dice: "Senza i braccianti pugliesi, senza gli operai, senza i lavoratori, che mi hanno aiutato in ogni circostanza a trovare la via giusta e ad avere fiducia nel popolo, io non sarei mai stato nulla”.