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RICORRENZA DEL GIORNO

19/01/2013

Beata Madre Teresa di Calcutta

In occasione della beatificazione, riproponiamo l'approfondimento dedicato a Madre Teresa di Calcutta:
"La santità non è qualcosa di straordinario, non è per pochi privilegiati. La santità è per ciascuno di noi un dovere semplice: accettare Dio con un sorriso, sempre e in ogni luogo”. Così diceva Madre Teresa di Calcutta. È stata una delle figure più ammirate e amate del secolo scorso, e non solo dai cristiani, anche da seguaci di altre religioni o da coloro che non hanno nessuna fede. È salita sugli altari con una rapidità stupefacente: Giovanni Paolo II l’ha proclamata beata il 19 ottobre 2003, ad appena sei anni dalla morte. Ecco in sintesi le date essenziali della sua vita.
Agnes Gonxha Bojaxhiu era nata il 26 agosto 1910 a Skopje, che all’epoca apparteneva all’Impero ottomano,
da una famiglia di stirpe albanese. Il padre Nikola e la madre Drane avevano già due figli, la maggiore Age di sei anni, il secondo Lazar di tre anni. Nel 1928, la diciottenne Agnes viene accettata nell’Ordine di Loreto e va nel convento di Rathfarnam, Irlanda. Dopo pochi mesi parte missionaria in India, col nome di Mary Teresa del Bambin Gesù. Fino al 1946 si dedicherà a un tranquillo lavoro di suora insegnante al Saint Mary di Entally, Calcutta, un collegio per ragazze di buona famiglia. Ha già 36 anni quando arriva la svolta della sua vita, che lei chiamerà “una vocazione dentro la vocazione”. Nella notte del 10 settembre 1946, si trova sul treno per Darjeeling, un posto ai piedi dell’Himalaya dove c’è un convento dell’Ordine di Loreto. Mentre osserva con pena quell’umanità misera che si accalca nei vagoni, le arriva il grido degli ultimi, la chiamata per i più poveri. Prima il suo confessore padre Van Exem, poi monsignor Ferdinand Périer, l’arcivescovo di Calcutta , le consigliano pazienza e cautela. Ma lei, ormai determinata, chiede a Roma il permesso di lasciare l’Ordine di Loreto per fondare una congregazione di suore indiane dedicata solo “ai più poveri dei poveri”. Il 18 agosto 1948, arrivato da Roma il permesso, la suora di Loreto lascia il saio nero tra lo sconcerto delle consorelle e, vestita con il sari delle indiane povere, esce dal convento con in tasca solo cinque rupie e affronta le strade di Calcutta da sola, senza sostegni né prospettive. Trova alloggio provvisorio presso una famiglia amica, comincia a insegnare ai bambini di un quartiere misero, all’aperto, scrivendo parole per terra con un legnetto. Presto la seguiranno alcune sue ex alunne, le prime Missionarie della Carità. Negli anni seguenti aprirà una dopo l’altra le case per i moribondi, i lebbrosi, i vecchi soli, i bambini abbandonati. Il 26 luglio 1965 inaugura una casa a Cocorote, in Venezuela, la prima delle tante oggi presenti in ogni continente. Il 10 dicembre 1979 riceve ad Oslo il premio Nobel per la pace, il più prestigioso  tra tutti i riconoscimenti alla sua opera di carità. Ormai è la donna più famosa del mondo.

Anni di fatiche e sacrifici inimmaginabili, in un attivismo che ha del sovrumano, le hanno minato la salute. Una grave malattia cardiaca la costringe a diversi ricoveri in ospedale. Il 5 settembre 1997, muore nella sua stanzetta della Casa madre di Calcutta. L’India le rende l’onore dei funerali di stato, vi accorrono una folla immensa, capi di governo, personalità da tutto il mondo, i rappresentanti delle diverse religioni, in un tributo planetario mai visto prima e forse irripetibile. È sepolta a Calcutta, in una tomba di marmo bianco al pianoterra della Casa madre delle Missionarie della Carità. Sulla lapide sono incise le parole evangeliche: “Amatevi come io ho amato voi”. Questi dati biografici rappresentano soltanto i punti fissi, le tappe di una vicenda straordinaria, ma certo non restituiscono la grandezza spirituale e la profondità mistica della piccola suora albanese divenuta indiana. Mentre era in vita, migliaia di articoli, di foto e di servizi televisivi, decine di libri avevano parlato di lei, raccontandone le iniziative nel mondo, gli incontri con capi di stato e personalità eminenti, il pronto accorrere sui luoghi del dolore in occasione di conflitti o di cataclismi naturali. Il suo volto rugoso circondato da un lembo del sari bianco con gli orli azzurri, era l’immagine di un’icona vivente. Sembrava che su Madre Teresa si sapesse proprio tutto. E invece mancava la parte più assoluta, un segreto dell’anima rivelato solo dopo la sua morte. Quando si aprì il processo canonico, soltanto a due anni dalla morte invece dei cinque stabiliti dal diritto ecclesiasiastico, molti si chiesero perché ci fosse bisogno di documenti, testimonianze, complessi esami di esperti e riunioni di alti prelati, per accertare una santità universalmente riconosciuta. Ma il processo si è dimostrato indispensabile per illuminare il lato nascosto della spiritualità della Madre. Moltissime sue lettere ai confessori spirituali, soprattutto ai gesuiti Padre Van Exem e l’arcivescovo Périer, non erano state distrutte, come la Madre implorava alla fine di ogni suo scritto. Recuperate dagli archivi, hanno svelato una prova mistica, una lotta interiore dolorosamente prolungata per anni e ignota perfino alle consorelle che le erano state più vicine. Madre Teresa ha attraversato le tenebre della “Notte oscura”, sperimentata da grandi mistici come Giovanni della Croce, Teresa d’Avila, Teresina del Bambino Gesù. In una lettera a Périer, così rivelava il tormento intimo: “Sorrido sempre a tutti… Ah, se sapessero che il mio sorriso copre il vuoto e l’infelicità… Signore, se le mie sofferenze placano la tua sete, eccomi pronta. Sorriderò al tuo volto nascosto fino alla fine della vita”. Pensava che il suo amore per Gesù non venisse ricambiato e ha sofferto la ferita dei non amati. A padre Huart, un altro gesuita di Calcutta, aveva confidato: “Quando parlo alle sorelle o ad altri della presenza di Gesù nei poveri, capisco che questo messaggio suscita una profonda risposta. Ma nel mio cuore c’è solo oscurità”. E ancora, anni dopo, sempre a Périer: “Ho cominciato ad amare le mie tenebre, perché ora credo che siano una parte, una piccola parte, delle tenebre di Gesù e della sua pena sulla terra”

Questo Getsemani interiore non ha impedito a Madre Teresa l’azione instancabile di soccorso ai poveri, l’efficienza manageriale nell’organizzare e dirigere il lavoro delle consorelle. L’aspetto più singolare della vicenda rivelata dopo la morte, è stata la sua capacità di essere insieme contemplativa e pratica, un’anima di preghiera e una formidabile organizzatrice della carità. Ha avuto la forza di mostrare agli altri il volto sempre sorridente, e la volontà davvero eroica di immergersi nella fatica quotidiana nonostante quella pena che le riempiva il cuore. Diceva: “Voglio essere apostola della gioia”.
Madre Teresa ha insegnato il valore e la dignità di ogni essere umano. Indira Gandhi, la premier dell’India che era una sua grande amica nonostante le differenze di stato sociale e di religione, ha scritto: “Madre Teresa non fa la minima discriminazione per il colore della pelle, la lingua, la fede. Ella mette in pratica la verità che la preghiera è dedizione e servizio”. È diventata la prima vera santa del cosiddetto “villaggio globale”, al di sopra delle diversità, delle appartenenze religiose e politiche. Si considerava uno  trumento dell’amore divino: “Sono una matita nelle mani di Dio. Lui scrive ciò che vuole”. Il suo genio è sempre andato controcorrente. Ha insegnato che ogni vita è sacra, ma lo è ancora di più quella dei non nati, dei bambini abbandonati alla nascita, dei vecchi lasciati morire da soli, dei miseri senza speranza. Contro la corsa agli oggetti inutili, all’eccesso di beni, è vissuta di niente, ossessionata dalla presenza dei poveri. Istruiva le seguaci alla gentilezza: “Preferisco che facciate uno sbaglio con il sorriso che un miracolo con sgarbo”. Diceva che esiste la lebbra anche nelle grandi città occidentali, ed è la solitudine. Come una donna di fatica, s’è messa sulle spalle i pesi che noi scarichiamo guardando da un’altra parte. È vissuta nel secolo più tormentato dalla violenza ideologica come un segno di concordia, una sentinella dell’amore per gli altri, una guida verso il rinnovamento dei nostri cuori.

(Testo di Franca Zambonini)