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RICORRENZA DEL GIORNO

17/01/2014

Al Capone

I suoi genitori vengono da Castellamare di Stabia, un piccolo paese in provincia di Napoli. Sono partiti per l’America che non era neanche nato. Speravano di garantirgli una vita normale, un futuro tranquillo… Sbagliavano, si illudevano. Dopo un’infanzia sui marciapiedi di Brooklyn, dopo aver lavorato come buttafuori in alcuni locali malfamati, dopo essersi guadagnato il soprannome di Scarface per via della cicatrice che gli corre lungo la guancia sinistra, si trasferisce a Chicago e, per quanto paia impossibile, peggiora la situazione. 

Le brutte compagnie diventano il suo pane, le bische e i casino il suo orizzonte. Giorno dopo giorno, crimine dopo crimine, morto dopo morto, la gente comincia a conoscere il suo nome. Quando lo sente, ha paura.  Lui, invece, prova piacere. Corrompe, stringe accordi con politici e altri “picciotti”. Traffica con l’alcol nell'America del Proibizionismo. Uccide, non prova rimorso. Si sente invincibile.  Nel 1930, però, J. Edgar Hoover, capo del FBI, lo dichiara "nemico pubblico numero uno” e una squadra di investigatori esperti e incorruttibili, gli “intoccabili”, si mette sulle sue tracce. Nel 1931 viene condannato  per evasione fiscale, l’unica accusa alla quale, probabilmente, non era preparato, la più banale.

Al Capone (17 gennaio 1899 –25 gennaio 1947)  non ha neppure cinquanta anni quando, dopo un periodo di carcere duro, si ammala in modo grave. E lui che si sentiva invincibile è costretto a fare i conti con la propria debolezza. E, forse, per la prima volta, con la propria coscienza