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Al furore iconoclasta del cosiddetto Nuovo Ateismo, che vede nella scienza la sua più potente alleata in una moderna crociata contro Dio, Amir Aczel ribatte che una sobria disamina delle più prestigiose teorie, dal Big Bang ai quanti, dalla relatività alla sintesi tra evoluzione e genetica, per non dire delle escursioni della matematica nel campo dell'infinito, porta a conclusioni di tutt'altro segno: il pensiero scientifico né dimostra l'esistenza di una qualche divinità né la confuta. Il che lascia aperta la questione della complessa relazione tra fede religiosa e ragione scientifica, in un clima di mutuo rispetto e tolleranza. C'è ancora spazio, dunque, per l'interrogazione a un tempo filosofica e teologica sul creatore del mondo. Quella che invece appare desueta e dannosa è ogni pretesa neo-fondamentalistica, compresa quella di un ateismo non meno perentorio e dogmatico dell'interpretazione letterale di qualsiasi rivelazione.
La scienza da una parte, la religione dall’altra: una contrapposizione antica, assunta e percepita come scontata, per certi versi necessaria. Come se le due cose, Dio e natura, creato e Creatore, fossero principi contrapposti, se la scienza appartenesse al regno delle certezze e la fede a quello delle supposizioni (per non dire di peggio). Amir D. Aczel, matematico e divulgatore, dimostra che non è così. O, meglio, che in certi casi bisogna quanto meno sospendere il giudizio. Al di là della questione del senso (il perché), non sappiamo banalmente cosa abbia causato il Big Bang, come le molecole della vita siano apparse sulla Terra e via dicendo: “Manchiamo della conoscenza base per i più importanti e resistenti misteri della creazione. E anche se in qualche modo potessimo ottenere tutta la conoscenza dell’universo, probabilmente non potremmo andare oltre”.
Il motivo è semplice: la scienza ha dei limiti.
Sta a noi riempirli di senso, o lasciare che questo senso ci pervada.
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