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Intervista esclusiva a Madre Cànopi



 
Nata a Pecorara, il 24 aprile 1931, Anna Maria Cànopi avverte la vocazione verso la vita monastica fin da giovanissima. La sua ricerca verso il silenzio e la contemplazione la spingono a fondare l’abbazia benedettina Mater Ecclesiae nell’isola di San Giulio, sul lago d’Orta (NO).
Apprezzata scrittrice di molti libri sulla spiritualità monastica e cristiana, ha collaborato alla stesura della Bibbia della CEI, al catechismo della chiesa cattolica e alle edizioni dei nuovi lezionari e messali.
Nel 1993 ha organizzato il testo per la Via Crucis di Giovanni Paolo II al Colosseo.
Nel 1995 ha portato la sua testimonianza di monaca benedettina al convegno dei giovani europei di Loreto.
Il 30 agosto 2009 ha ricevuto nella sua abbazia il Patriarca Melkita-Cattolico Gregorio III Laham, il quale ha celebrato la Santa Messa con il rito greco-bizantino. Lo stesso Patriarca ha donato a Madre Cànopi la Croce Pettorale di Gerusalemme.

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1. Ho appena terminato di leggere un libro su Santa Teresa di Lisieux, mistica cristiana vissuta nella seconda metà del XIX secolo e nominata da Giovanni Paolo II dottore della Chiesa. In un mondo, quello attuale, dominato dalla tecnologia, mi ha fatto riflettere l’intensa metafora della “piccola via completamente nuova” per raggiungere il più rapidamente possibile la comunione con Dio
Nel nostro mondo dominato dalle comunicazioni rapidissime e planetarie, dove le distanze sembrano annullate, la “piccola via” di santa Teresa di Lisieux – via dell’infanzia spirituale, della fiducia, dell’abbandono – è, paradossalmente, molto più efficace per entrare in vera e profonda comunione con Dio e con i fratelli. L’esperienza lo dimostra. Mai come oggi, l’uomo – soprattutto là dove più sviluppato è il progresso tecnologico – sperimenta una profonda e spesso angosciata solitudine interiore, mentre sempre più tra i popoli si innalzano tragici muri di incomunicabilità che nessuna tecnica potrà mai abbattere, ma solo l’amore. È questo il “segreto” scoperto da santa Teresa di Lisieux, quando, leggendo le lettere di san Paolo, ebbe la folgorante intuizione che le fece esclamare: «Nel cuore della Chiesa io sarò l’amore». E dire amore significa dire dono di sé, ossia piena conformazione a Cristo che offrì la sua vita per la nostra salvezza. Nell’amore, per usare ancora un’espressione di san Paolo «non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me». La comunione con Dio diventa piena e, attraverso Dio, si realizza anche con i fratelli.

2. La fiducia di Teresa di Lisieux nella preghiera e nelle Scritture mi ha colpito. Come si vive oggi, a più di cento anni dall’esperienza di Santa Teresa di Lisieux, questa via di preghiera e sacrificio? La via di preghiera e di sacrificio, eroicamente percorsa da santa Teresa di Lisieux, è, in realtà, ben più antica… La stessa piccola Teresa ha messo i suoi piedi sulle grandi orme lasciate da Gesù, Via, Verità e Vita, e ricalcate da una innumerevole schiera di santi, noti e sconosciuti. Anche oggi chiunque voglia vivere secondo il Vangelo non può che percorrere questa “via stretta” che è la “via della Croce”, quindi del totale, fiducioso abbandono nelle braccia del Padre. La forza per percorrere questa via la si attinge dalla Parola di Dio, di cui il Salmista dice che è lampada ai nostri passi, e dalla preghiera che è dialogo e comunione con Dio.



3. Madre Cànopi, una domanda forse ingenua: come si fa ad abbracciare il mondo intero da un monastero di clausura su una piccola isola del Lago d’Orta?
Con le braccia del cuore in preghiera. La preghiera personale e liturgica ci rende presenti agli uomini di tutti i luoghi e anche di tutti i tempi. Naturalmente, affinché ciò avvenga occorre che la preghiera non sia vuota ripetizione di parole e di formule, ma grido dell’anima.

Specialmente la partecipazione alla santa Messa, nella quale si unisce se stessi al sacrificio di Cristo. Ogni giorno occorre sempre di nuovo mettere se stessi sull’altare insieme alle offerte del pane e del vino, affinché la nostra vita, unita a quella di Cristo, diventi offerta a Dio gradita per la salvezza del mondo. Lungo la giornata, poi, l’offerta di sé deve essere vissuta nel concreto delle situazioni. Allora ogni atto, anche il più piccolo e apparentemente insignificante, ogni esperienza lieta o dolorosa diventa feconda di bene, perché partecipa al Mistero redentore di Cristo reso attuale nell’oggi che ci è dato di vivere. La vocazione contemplativa claustrale è a dimensione missionaria universale.

4. E come conciliare l’atteggiamento di piccolezza, a cui Teresa ci invita, con la necessità di sopravvivere in questo mondo in cui fragilità interiore e crisi generali (non solo finanziarie) ci possono mettere facilmente fuori gioco?
Occorre davvero spogliarsi della tendenza a cercare una grandezza solo umana, una gloria mondana, un arrivismo egoista. Non bisogna affatto voler “sopravvivere” in questo “mondo” – intendendo con “mondo” la mentalità pagana ed idolatra che va in cerca di ciò che non vale – ma bisogna accettare di “morire”, secondo la logica del chicco di grano che, se cade in terra e muore, porta molto frutto. È l’esempio che ci ha lasciato Gesù: Dio, si è fatto uomo; lui, il Signore, si è fatto servo; l’Immortale, ha accettato la morte per la nostra salvezza. Imitandolo, viviamo in umiltà. E l’umiltà, quando è vera, anche se lascia ai margini della storia, è al cuore di Dio e diventa sorgente che misteriosamente, ma realmente, fa fiorire i più aridi deserti della vita.


5. La scelta di Ratzinger ha forse colto tutti di sorpresa … fare un passo indietro può essere una scelta di grande coraggio. Anche questa è una “nuova piccola via” per stare in preghiera, e riflettere sulle Scritture nella parte finale della propria vita?

La scelta di Papa Benedetto XVI rivela certamente la grande umiltà di questo Papa che per otto anni ha servito con tanto amore e profonda sapienza la Chiesa in mezzo a prove e difficoltà di ogni genere: nulla gli è stato risparmiato… Non direi, però, che la sua scelta sia stata un fare “un passo indietro”, bensì un passo avanti, quello a Lui suggerito dallo Spirito Santo; un passo avanti nel nascondimento, per continuare a servire la Chiesa nel silenzio con la preghiera e l’offerta della propria sofferenza. Non dimentichiamo che papa Ratzinger ha sempre avuto cara la “spiritualità del Sabato Santo”, che è silenzio carico di mistero. Quella che ora, nel suo ritiro egli sta percorrendo, è certamente una “piccola via”, una “via nascosta”; ma altissima è la mèta cui conduce: san Benedetto nella sua Regola parla dell’umiltà come di una scala di dodici gradini che si ascende discendendo e che conduce alla sublime vetta dell’amore.


6. Improvvisamente, l’arrivo di Francesco ha sorpreso quasi tutti e ha dato un grande slancio alla Chiesa. Che cosa significa per il sud del mondo avere un Papa latinoamericano all’inizio del nuovo millennio?

Lo Spirito Santo ci ha davvero tutti sorpresi con la sua scelta! Una scelta inattesa, ma subito accolta come grazia. Tale favorevole accoglienza dà ali al cammino della Chiesa, purché non si riduca ad un entusiasmo momentaneo e solo emotivo, ma diventi adesione piena di fede e di amore alla guida di Papa Francesco, anche quando egli chiederà – e certamente dovrà chiedere – atti di profonda conversione e scelte coraggiose in linea con il Vangelo. Se la Chiesa di tutto il mondo ha gioito per l’elezione di Papa Francesco, per la sua francescana freschezza, per l’eloquenza dei suoi gesti affettuosi, per la semplicità della sua parola, certamente per la Chiesa della America latina essa è, a maggior ragione, motivo di grande speranza e di consolazione, oltre che di fierezza. In lui tutti i cristiani del sud del mondo hanno un Papa che conosce in prima persona, per esperienza, i loro problemi, in particolare il dramma della povertà. Egli, perciò, può farsi, con grande consapevolezza, voce dei senza voce e sensibilizzare a ciò anche i cristiani del cosiddetto “mondo industrializzato” che vive altre forme di tragica povertà, non di rado conseguenza di un’eccessiva ricchezza male utilizzata e di un egocentrismo che soffoca le aspirazioni più vere del cuore umano. Una presenza, dunque, quella di Papa Francesco che può essere salutare per tutti, essendo un richiamo urgente alla conversione e alla condivisione in vista di una società più fraterna. Se con Paolo VI l’uomo ha visto una via sicura per recuperare sé a se stesso; se con la preghiera e la fede indomita di Giovanni Paolo II è caduto il muro di Berlino e con l’illuminato magistero di Benedetto XVI la luce della speranza è penetrata nelle tetre prigioni dell’individualismo e del relativismo dell’uomo contemporaneo, con Papa Francesco quanti sono ai confini del mondo già si sentono “i vicini”: cari al suo cuore di Pastore e al cuore di tutta la Chiesa, perché cari al cuore di Dio.

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