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"Il mio modello di business? I Beatles." Così parlò Steve Jobs, il fondatore di Apple, uno che di business qualcosa capiva. A intrigarlo era soprattutto la formula del collettivo: vedeva i Beatles come un prodigioso moltiplicatore dei talenti individuali. L'indimenticabile quartetto della cultura pop, infatti, fu anche una start-up di successo. Proiettò quattro ragazzi cresciuti nella Liverpool del primo dopoguerra, in una miseria da Terzo mondo, verso la stratosfera della ricchezza. Personalmente, nei testi delle loro canzoni, composte in un periodo di radicali cambiamenti come gli anni Sessanta, ritrovo la mia adolescenza e un'epoca che fu l'ultima Età dell'Oro per l'Occidente: alta crescita, pieno impiego, benessere diffuso, aspettative crescenti per i giovani. Ma anche i germi di quel che accadde in seguito. "Taxman" prefigura le rivolte fiscali. "Get Back" nasce come una satira dei primi movimenti xenofobi e anti-immigrati. "When I'm Sixty-Four" anticipa la crisi del Welfare State da shock demografico. "Eleanor Rigby" e "Lady Madonna" evocano la nuova povertà che oggi è in mezzo a noi. "Across the Universe", con il suo richiamo al viaggio in India dei Fab Four, ricorda l'irruzione dell'Oriente nel nostro mondo. E "Yesterday", con il tema della nostalgia, ci costringe ad affrontare domande cruciali: davvero si stava meglio "ieri"? Prima dell'euro, prima della globalizzazione, prima di Internet? L'obiettivo di questo libro è ricostruire una speranza.
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