San Paolo Store

18/03/2018

San Cirillo di Gerusalemme

Non sono ancora chiari l’anno e il luogo di nascita di Cirillo che ipoteticamente sono posti verso il 315 a Gerusalemme o nei dintorni. Probabilmente la sua scelta esistenziale fu monastica, almeno così si supporrebbe dalle Catechesi, concretizzata intorno al 345 e comunque dopo il trentesimo anno, così come richiesto dalla prassi canonica del tempo, con l’ordinazione presbiterale. Nel 348 fu scelto come successore di Massimo alla cattedra di Gerusalemme. Furono i vescovi Acacio di Cesarea e Patrofilo di Scipoli a consacrarlo preferendolo al presbitero Eraclio che pare fosse stato designato dal morente Massimo. Tuttavia, essendo sia Acacio che Patrofilo seguaci delle dottrine di Eusebio di Nicomedia spalleggiatore delle idee eretiche di Ario, l’ordinazione di Cirillo diede luogo a numerosi chiacchiericci malevoli sull’ortodossia e sulla validità della medesima. Tra gli oppositori si trovarono Girolamo e gli storici Socrate e Sozomeno quando “affermano che Massimo, il predecessore di Cirillo, fu esiliato per la sua ortodossia, e Cirillo introdotto come filoariano”. Fu difatti considerato come un filoariano che solo gradualmente sarebbe passato all’ortodossia. Il concilio di Costantinopoli del 381 sancì la validità dell’ortodossia e dell’ordinazione. Entrato in contrasto con Acacio per motivi giurisdizionali e dottrinali ebbe parecchio da patire. Essendo la Chiesa di Gerusalemme di origine apostolica, a detta di Cirillo avrebbe dovuto godere di una certa preminenza tra le sedi della provincia e di una certa indipendenza dalla metropolia di Cesarea. Osteggiato duramente da Acacio, vi si scontrò anche per questioni dottrinali. Il vescovo di Cesarea, eusebiano, rifiutava perentoriamente le definizioni trinitarie antiariane del concilio di Nicea del 325, che aveva sancito la generazione e non creazione del Figlio proclamandolo consustanziale  (homoousios) col Padre. Cirillo, anche se scettico sul termine homoousios di origine non biblica, condivideva sostanzialmente la dottrina conciliare basata sulla sacra Scrittura. Questo scatenò la reazione di Acacio che lo fece condannare e deporre da un concilio provinciale nel 357. Allorché gli eusebiani si frazionarono fra il 357 e il 358 in più gruppi, Cirillo fu dalla parte degli omeousiani. Secondo questi ultimi Cristo era simile (homoiousios) al Padre. Essi lo riabilitarono nel sinodo di Seleucia del 359. Nel 360 a Costantinopoli Acacio trionfò con il partito degli anomei, che sostenevano che Cristo era stato creato ed era dunque sostanzialmente diverso (anomoios) dal Padre, deponendo nuovamente l’episcopo gerosolimitano. Dopo la morte dell’imperatore Costanzo, che aveva apertamente sostenuto l’arianesimo, e dopo l’ascesa al trono di Giuliano l’Apostata, Cirillo rientrò a Gerusalemme, per essere poi nuovamente esiliato, circa nel 367, a Tarso in Cilicia, in seguito alla rinnovata politica filoariana dell’imperatore Valente. Con l’avvento di Teodosio, dopo dieci anni di assenza, nel 378 Cirillo poté rientrare definitivamente a Gerusalemme, partecipando ai concili di Costantinopoli del 381 e 382. Morì nella sede gerosolimitana probabilmente il 18 marzo 387.  Di Cirillo ci resta una lettera all’imperatore Costanzo che descrive l’apparizione di una croce luminosa nel cielo di  Gerusalemme il 7 maggio 351: “In questi stessi giorni della santa Pentecoste, alle none di maggio, verso l’ora terza, una gigantesca croce di luce apparve nel cielo sopra al santo Golgota, estendendosi fino alla santa Montagna degli Ulivi. Non fu vista soltanto da una o due persone, ma si mostrò in maniera assolutamente nitida all’intera popolazione della città. Non scomparve rapidamente, come si potrebbe supporre, come un sogno che passa, ma rimase sopra la terra visibile agli sguardi per parecchie ore, vincendo con il suo fulgore i raggi del sole. Certo, sarebbe stata da essi superata e dissimulata se non avesse offerto a quelli che la videro uno splendore più potente di quello del sole.

Perciò tutta la popolazione della città accorse precipitosamente nella santa chiesa, colta da un timore misto a gioia allo spettacolo della celeste visione. Vi si buttarono, giovani e vecchi, uomini e donne di ogni età non soltanto cristiani, ma pagani stranieri di stanza a Gerusalemme, e tutti, come una sola voce, fecero salire le loro lodi verso Gesù nostro Signore, il Figlio unigenito di Dio, l’autore dei miracoli”. Il testo, citato anche da Sozomeno e Teodoreto di Ciro nelle rispettive storie ecclesiastiche, ha suscitato disparati pareri sull’autenticità. Oggi, il corpo è ritenuto autentico e il suo merito sarebbe quello di inverare l’autenticità della croce di Cristo ritrovata anni prima a Gerusalemme. Altra opera di rilievo è un’omelia su Giovanni 5, 1-18 (guarigione del paralitico della piscina di Betsaida) che sarebbe stata tenuta dal presbitero Cirillo negli anni 343-348 di fronte al vescovo Massimo, nella quale si insisterebbe sulla potenza di Cristo, medico delle anime e dei corpi. Frammenti di altre omelie sono citati da Massimo abate e martire nel suo Libro sui Dogmi, da Leonzio di Bisanzio nel suo Contro i Nestoriani e gli Eutichiani e negli atti del concilio Lateranense  del 649. L’opera più corposa e importante di Cirillo sono le 24 Catechesi tenute quando ancora era prete o neovescovo. Sotto il titolo di Catechesi prebattesimali figurano: una Protocatechesi su Ezechiele 18, 31, che tratta delle disposizioni richieste per essere ammessi alla preparazione battesimale, e diciotto Catecheseis phôtizomenôn (Catechesi agli illuminandi)  indirizzate ai catecumeni che si preparavano a ricevere il battesimo nella successiva Pasqua. Esse si presentano con stile limpido e semplice, adatte a vari uditori, ma con alcune complicazioni. Mirano soprattutto alla dettagliata interpretazione del simbolo battesimale in uso a Gerusalemme. La prima è sulle disposizioni necessarie per ricevere il battesimo. La seconda sulla penitenza o conversione prebattesimale. La terza sulle figure scritturistiche del battesimo. La quarta sui dieci comandamenti. La quinta sulla fede e il suo contenuto. La sesta su Dio unico. La settima su Dio Padre. L’ottava su Dio onnipotente. La nona su Dio creatore. La decima su Gesù Cristo Signore. L’undicesima sul Figlio unico di Dio. La dodicesima sul Verbo incarnato. La tredicesima sulla passione e sepoltura di Gesù. La quattordicesima sulla resurrezione di Cristo. La quindicesima sulla parusia di Cristo. La sedicesima prima e la diciassettesima seconda sullo Spirito Santo. La diciottesima, sulla resurrezione della carne. Seguono poi cinque Catechesi, indirizzate ai neobattezzati al fine di spiegare i sacramenti ricevuti nella veglia pasquale. Queste Catechesi, a differenza delle prime, si presentano molto più curate, con uno stile estremamente chiaro e senza complicazioni, tanto è vero che sono attribuite o a Cirillo o a Giovanni, successore di Cirillo, ovvero ad entrambi. La prima è sul battesimo, particolarmente sulla rinuncia al diavolo e sulla professione di fede celebrati nel vestibolo del battistero. La seconda sui riti celebrati nel battistero, dalla deposizione delle vesti all’atto battesimale. La terza sui riti seguenti all’atto battesimale. La quarta sull’eucarestia teologicamente intesa. La quinta sull’eucarestia in relazione al simbolismo dei suoi riti. Le Catechesi, ancora oggi molto studiate, forniscono preziose informazioni sul catecumenato e sulla liturgia a Gerusalemme nel IV secolo e proprio l’alto profilo teologico delle medesime indurrà nel 1882 Leone XIII a proclamarlo dottore della Chiesa e anche il concilio Vaticano II richiamerà il suo insegnamento, in due costituzioni dogmatiche: la Lumen gentium, sulla Chiesa, e la Dei Verbum, sulla divina rivelazione. E ancora nel decreto Ad gentes, sull’attività missionaria della Chiesa nel mondo contemporaneo.
(di Luigi Mezzadri)