Beata Vergine del Carmelo di Stefano De Fiores
Il nome di Carmela e quello al maschile di Carmelo o Carmine derivano dalla Madonna del Monte Carmelo o del Carmine, venerata specialmente dalla Famiglia carmelitana. La festa della Vergine del Carmelo è il 16 luglio, venne istituita prima del 1386, estesa a tutta la Chiesa da Benedetto XIII nel 1726 e conservata nel calendario universale dalla riforma di Paolo VI dopo il concilio Vaticano II. Le origini del titolo e della devozione della Madonna del Carmelo o del Carmine sono legate all’Ordine carmelitano, il cui primo nucleo si insediò sul Monte Carmelo (in ebraico Karmel = giardino di Dio) in Terrasanta, catena montuosa calcarea attualmente nello stato di Israele, che si profila per 45 chilometri tra la Samaria e la pianura di Esdrelon. Sul Carmelo si trovano grotte abitate in tempi preistorici; poi vennero i fenici e infine gli ebrei che lo assegnarono alle tribù di Aser e di Manasse. Divenne celebre per la presenza di Elia che vi sfidò i sacerdoti di Baal e di Astarte. Con le crociate il Monte Carmelo diviene centro di vita eremitica. I carmelitani latini, riconosciuti da Onorio III nel 1226, vi dedicano la loro chiesetta a santa Maria. È un gesto significativo in quanto la scelta del titolo della chiesa comportava un orientamento spirituale: “Nella concezione feudale, allora regnante, chi era al servizio della chiesa era al servizio del santo cui la chiesa era dedicata. E si intenda bene in tutto il suo valore la parola “servizio”: significava la traditio personae, cioè porsi completamente a disposizione, consacrazione personale, ratificata con giuramento, tanto più quando ciò era sanzionato colla professione religiosa”. Perseguitati dai musulmani, i carmelitani fuggono dal Monte Carmelo verso la metà del XIV secolo e si diffondono in tutta Europa. L’attività pastorale impone una Regola mitigata, provocando nei secoli seguenti l’esigenza di una riforma che accentui la tendenza eremitica e contemplativa: la più importante è quella operata da santa Teresa e da san Giovanni della Croce, che nel 1593 conduce alla costituzione dei carmelitani scalzi.
Ad essi si affiancano le carmelitane, esistenti fin dal 1452 e approvate da Niccolò V, che conoscono particolare sviluppo con la riforma di santa Teresa, che ne redasse le costituzioni (1581). Devozione caratteristica dell’Ordine è quella dello scapolare, soprattutto a partire dal 1251 quando la Vergine sarebbe apparsa a san Simone Stock. Insito più ancora nella tradizione carmelitana è il riferimento spirituale alla Vergine che si esprimerà in varie forme e con differenti accentuazioni nel corso dei secoli. All’inizio si colloca il contratto mutuato dal feudalesimo, che comporta obblighi per entrambe le parti: alla traditio o consegna dei frati corrisponde il patrocinium di Maria: “L’immagine della ‘Patrona’ è propria delle prime generazioni carmelitane e il riferimento ad essa rimane sempre, da allora in poi nell’Ordine, come convinzione forte e fondante”. Il titolo di “sorella” attribuito a Maria, in quanto i carmelitani scelgono di seguire la vita verginale di cui ella ha dato l’esempio, incontra qualche difficoltà nel XVII secolo, quando Giovanni Battista de Lezana avanza una protesta: “In queste cose occorre solo moderazione. Egli si fondava sul fatto che gli stessi carmelitani si chiamano “fratelli” fra loro e fratelli della medesima eccellentissima Madre, poiché fratello e sorella sono correlativi. Bisogna tuttavia astenersi da una simile espressione e solo con sublimi titoli l’eccelsa Madre di Dio deve essere interpellata dai suoi carmelitani”. L’ordine carmelitano offre un’intensa esperienza di Maria nella vita spirituale, tanto da far coniare il motto: “Carmelus totus marianus”. La figura di Maria appare modello perfetto dell’alleanza d’amore tra Dio e la Chiesa: “Non è forse da te, Signora mia” esclama santa Teresa di Gesù (morta nel 1582) “che si può perfettamente comprendere ciò che intercorre tra Dio e la sposa secondo la parola del Cantico?”. Per il dottore mistico, san Giovanni della Croce (morto nel 1591), “La gloriosissima Vergine Nostra Signora (...) mai ebbe nella sua anima impressa forma di alcuna creatura, né per essa si mosse, ma sempre la sua mozione provenne dallo Spirito Santo”
Presso gli autori carmelitani la parola e il concetto di consacrazione ritornano frequentemente. Marco della Natività della Vergine (morto nel1696) giunge a offrire a Maria anche i propri meriti. In realtà “il religioso carmelitano tanto dona a Maria quanto le può donare”. Consacrazione è affiancata da termini come affidamento, offerta, espropriazione, dedicazione, appartenenza totale, oblazione, consegna... Un testo di Leone di san Giovanni (morto nel 1634) ne aggiunge altri: “Il più perfetto omaggio e il più completo olocausto che un’anima devota possa fare, è di consacrarsi a Dio, a Gesù, a Maria e a tutta la loro benedetta famiglia. E ciò in perpetuo stato di dipendenza attuale, di filiazione cordiale, di servitù amorosa e di schiavitù eterna”. La terziaria carmelitana Maria Petyt (suor Maria di santa Teresa, morta nel 1677), testimonia di essersi “espropriata” di se stessa e “totalmente consacrata” alla Vergine. Michele di sant’Agostino descrive questa esperienza nel piccolo trattato Vita mariaforme e mariana in Maria per Maria ricorrendo al linguaggio simbolico di tipo chiaramente mistico: flusso/riflusso, aspirazione/respirazione, liquefazione/unione/trasformazione. Essa non consiste in una seconda vita spirituale, ma in una “nuova maniera” di vivere in Dio: tutt’altro che ostacolo, è un aiuto e uno sprone, poiché “il regno di Maria non è affatto contrario al regno di Gesù, ma a quello totalmente è ordinato”. Vita mariaforme è vita conforme alla volontà di Maria, esecuzione pronta e gioiosa di quanto piace a Dio e a Maria; vita in Maria è conversazione dell’anima con Maria, Madre di Dio; vita per Maria è impegno di tutte le forze perché Maria sia onorata e glorificata in ogni cosa e il regno del suo Figlio Gesù sia promosso, realizzato ed esteso.
La vita mariaforme e mariana raggiunge la perfezione quando l’anima si è lasciata animare dallo spirito di Maria fino ad essere trasformata in lei. I suoi fondamenti sono la maternità spirituale, cui si risponde in forza dello Spirito di Gesù con il sentimento di amore filiale: “Ave Mater”, e la singolare unione di Maria con Dio che fa sì che la contemplazione di lei conduca necessariamente a Lui. Michele di sant’Agostino non prevede pratiche particolari di devozione a Maria, ma un riferimento continuo a Maria, come un rinascente flusso/riflusso: “Ci sforziamo di conservare in noi e anche alimentare un filiale, tenero e innocente orientamento dell’anima, un’aspirazione o respirazione amorosa verso Maria, come a Madre superamabile e dilettissima a Dio. In tal modo si dovrà stabilire un soave flusso e riflusso di amore dell’anima verso di lei e da lei verso Dio”. Il Carmelo è visto nella sua relazione con la Vergine Maria prefigurata nella nuvoletta intravista da Elia e foriera di pioggia in tempo di persistente siccità. Storicamente Maria abita vicino al Carmelo, da cui Nazaret dista solo 30 chilometri, e vi si mostra la grotta dove la Madre di Gesù si pensa riposasse nella fuga in Egitto. Soprattutto il Carmelo è percepito come simbolo della presenza di Maria nella vita spirituale. La colletta liturgica della memoria della Beata Vergine del Monte Carmelo prega il Padre perché faccia giungere i fedeli “felicemente alla santa montagna, Cristo Gesù”. Senza negare questa concentrazione cristologica, alcuni Padri applicano anche alla Theotokos il simbolo della montagna. Forse il primo a fare questa trasposizione è il vescovo Severo di Antiochia (morto nel 538) il quale rivolgendosi a lei afferma che Dio ha “manifestato la sua venuta pacifica, benigna e misericordiosa in te, o Maria, che sei la montagna spirituale. Perciò egli benedisse questa montagna e la santificò con la discesa dello Spirito Santo”.
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