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Se esistesse un'agenda della contemporaneità l'immigrazione ne occuperebbe di certo uno dei primi punti. La mobilità umana assume oggi i tratti della sfida epocale ed irreversibile, caratteristiche che rendono indispensabile collocare il fenomeno in una prospettiva di medio-lungo periodo. Qualunque riflessione sui temi dell'immigrazione - e quella giuridica non sfugge a questa idea - se non supportata da dati ufficiali, rischia di circoscriversi all'autoreferenzialità (di chi la conduce) o di esporsi all'accusa di essere ideologizzata (da parte di chi la contesta). I dati forniti dalle Nazioni Unite - per il tramite dell'agenzia dell'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni - al termine del 2019 fotografano su scala globale un vero e proprio continente in movimento, un "sesto continente" anch'esso alla deriva: circa 272 milioni di persone (quasi il 3,5% della popolazione mondiale) hanno lasciato i loro Paesi di nascita e ora vivono altrove, segnando così un aumento del 40% rispetto al 2000, quando erano 173 milioni (il 2,8% della popolazione mondiale), e del 20% rispetto al 2010, quando se ne contavano 220 milioni (il 3,2%).
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