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Fede e potere. Il capitolo 13 della Lettera ai Romani

Libro di   Karl Barth

Fede e potere. Il capitolo 13 della Lettera ai Romani Libro di  Karl Barth
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Fede e potere presenta la prima versione del commento al capitolo 13 della Lettera ai Romani, ed è un testo cardine e fondativo nello sviluppo del pensiero di Karl Barth, che nasce dalla sua esperienza di pastore a Safenwil. A Safenwil, Barth dà vita a una "chiesa locale", partecipando anche alle lotte politiche e sindacali del villaggio mentre, nelle sue prediche, la parola biblica s'intreccia con le tematiche sociali. In quegli anni molto vicino al socialismo e attivo nel movimento operaio, il teologo prende però progressivamente le distanze dalla tentazione di un Cristianesimo sociale, visto come interpretazione riduttiva del messaggio di Cristo, ma ribadisce la libertà della fede e, insieme, la necessità della formazione politica della coscienza, unita al dovere, per il credente, di lottare per la salvezza generale dell'umanità. Per Barth, il cristiano non appartiene allo Stato perché appartiene a uno "Stato superiore" e la sua libertà si fonda sull'indipendenza da qualsiasi ideologia o forma di governo, che può essere tollerata, ma non venerata o considerata di per sé un valore. La forza rivoluzionaria di queste parole di Karl Barth è un seme che darà numerosi frutti nel pensiero politico e religioso fino ai nostri giorni.

Nel 1919, poco dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, Karl Barth pubblica questa prima versione del celebre commento al capitolo 13 della Lettera ai Romani. La riflessione condotta sulle parole di Paolo, che diventerà uno dei testi più citati della teologia contemporanea, nasce dall’esperienza decennale come pastore a Safenwil, piccolo centro dell’Argovia, dove il teologo aveva congiunto al ministero religioso una decisa militanza politica. In questi anni, molto vicino al socialismo e militante attivo nel movimento operaio, Barth non cessa però di riflettere sulle ragioni e sui limiti dell’impegno politico di fronte a quello, assoluto e trascendente, rappresentato dalla fede. Il cristiano può – anzi, in determinate contingenze, deve – accettare lo Stato, ma questo non può mai esser tutto per lui, in quanto egli appartiene a uno «Stato superiore», infatti la sua libertà si fonda sull’indipendenza da qualsiasi ideologia o peculiare forma di governo. Prendendo le distanze dalla tentazione di ogni sorta di «Cristianesimo sociale», Barth ribadisce tuttavia la necessità di una formazione politica della coscienza, unita al dovere, per il credente, di lottare per la salvezza complessiva dell’umanità. Il seme gettato in queste intense pagine germoglierà nei successivi sviluppi del pensiero barthiano, e continua a essere un invito, non eludibile, a interrogare instancabilmente il rapporto, perennemente in tensione, tra  fede e potere politico.

Karl Barth


Karl Barth (Basilea, 1886-1968), pastore riformato, è stato uno dei maggiori teologi della confessione evangelica. Studia presso varie università elvetiche e tedesche: tra gli autori prediletti Kant, Overbeck, Dostoevskij, Feuerbach e Kierkegaard. Lo scoppio del primo conflitto mondiale lo induce a prendere le distanze dai grandi maestri e intellettuali del mondo germanico che avevano dichiarato il loro sostegno alla guerra. Nel 1919, poi totalmente rielaborato nel 1922, esce Der Römerbrief, che costituisce il manifesto della «teologia dialettica». Dal 1921 insegna «teologia riformata» a Gottinga, poi «teologia sistematica» a Münster e Bonn, sino a quando, nel 1935, è costretto a lasciare la Germania dal regime nazista. Tornato a Basilea, insegna teologia fino al 1962. Tra le numerose opere, sono degne di nota Die christliche Dogmatik im Etwurf (1927), Fides querens intellectum (1931), Einfürung in die evangelische Theologie (1962) e la monumentale Dogmatica ecclesiale in tredici tomi. Nel 2013 Castelvecchi ha pubblicato Per la libertа dell’Evangelo, testo di una conferenza del 1933.

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