San Paolo Store

Una storia di amore

vota, segnala o condividi

Nella vita di un singolo, di una collettività o di una istituzione la condizione prima, ciò da cui dipende ogni azione o considerazione, è la sua definizione, il “chi”, il “cosa”.
Solo se sappiamo chi è o cosa è possiamo comprendere il senso della sua missione. E apprezzarla e sostenerla oppure criticarla e rifiutarla. 
Facciamo un esempio banale, prendiamo un maestro, un professore. Solo se conosce se stesso, comprende la sua funzione (trasmettere valori e saperi) e il modo più adatto (efficace e profondo) per portarla avanti. 
Facciamone un altro, prendiamo un partito. Solo se conosce la sua identità, può incidere nella vita politica di un Paese. Se non è né carne né pesce o dipende in toto da una figura di riferimento resta sospeso, incapace di agire. E di fare del bene. 
Prendiamo l’ultimo caso, che, poi, è quello che ci interessa: l’istituzione. In particolare: la Chiesa. Detta male: cos’è? 
L’edificio di Dio. La sposa di Cristo. Il podere o il campo del Signore. Poi, ancora, un Credo, l’insieme dei fedeli, addirittura una semplice architettura. Tutte queste definizioni vanno bene. Ne esiste una, però, alla quale dobbiamo restare ancorati con particolare dedizione. Ed è quella che papa Francesco ha dato durante un’omelia nella cappella della Casa Santa Marta. A dire il vero, prima di tutto ha detto cosa la Chiesa non è: un’organizzazione burocratica.  O un’impresa soltanto umana: “Quando vuol vantarsi della sua quantità e fa delle organizzazioni, e fa uffici e diventa un po’ burocratica”, ha detto, “perde la sua principale sostanza e corre il pericolo di trasformarsi in una ong. E la Chiesa non è una ong”. Poi, rivolgendosi ad alcuni dipendenti dello Ior presenti alla cerimonia, ha continuato: “Tutto è necessario, gli uffici sono necessari. Ma sono necessari fino ad un certo punto: come aiuto”.
L’organizzazione, di cui la banca vaticana è una declinazione importante, non sta al primo posto: prima c’è la Chiesa, che è – ecco il cosa –  “una storia d’amore”. Lo ripetiamo: una storia d’amore, accompagnata e sostenuta dall'uomo (anello della catena, “inviato” del Signore), ma che “non cresce con la forza umana […] ma come il seme della senape, come il lievito nella farina, senza rumore”. 
In questa storia d’amore, il cristiano non deve chiudersi in se stesso, “nascondendo ricchezze spirituali e materiali”. Al contrario, specie in tempo di crisi deve aprirsi a un’esistenza di “azioni, fede e amore”, e mettere a frutto i doni di Dio non per se stesso, ma per il mondo. In questo cammino può errare, sbagliarsi e cadere, ma deve avere la forza e la fede per rimettersi in piedi e seguire l’esempio di Cristo, che è quello della Croce