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Tiziano Terzani e lo spirito del viaggio

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C’è modo e modo di viaggiare.
Nel mondo dei social-network, per dire, uno può anche non farlo concretamente. Ci sono così tanti programmi e applicazioni che lo rendono (si fa per dire) superfluo. Basta muovere il mouse per attraversare una città. E guardarla dall’alto, dal basso, zoomare sui particolari e via dicendo.
Oppure, nel mondo dei low-cost, uno può vedere decine di città senza osservarle. Restando in superficie. Al trotto. Al galoppo. Un weekend a Barcellona. Uno a Dublino. Uno a Praga. E cosa resta? Foto, più che emozioni. Gadget, più che impressioni. 
Poi c’è il viaggiatore avventuroso, che sfida se stesso e la natura. O quello di gruppo, che si muove in comitiva per le zone turistiche e dello shopping. E che è tutto un “certo che in Italia si mangia meglio e c’è il sole” e via dicendo.
Poi c’è il viaggiatore per necessità. Che viaggia perché non può fare altro, perché la sua natura glielo impone. Come Tiziano Terzani. Di cui raccontiamo la vita per comprenderne il messaggio.

 

Tiziano nasce il 14 settembre 1938 a Monticelli, quartiere popolare di Firenze, da una famiglia umile, padre meccanico e mamma cappellaia, che sogna per lui una carriera normale, da “persona per bene”. Che, per Tiziano, rappresenta un incubo. Quando, appena diplomato (1957), riceve un'offerta di lavoro dalla Banca Toscana, racconta: “Ero terrorizzato, per me era la morte civile”. 
La curiosità e la voglia di non accontentarsi lo spinge a continuare gli studi, e a rilanciare, visto che viene ammesso alla Scuola Normale di Pisa, l’ateneo più prestigioso d’Italia, dove si laurea a pieni voti in Giurisprudenza (1962).
La Legge, però, non gli basta, la passione lo porterebbe altrove. Ma c’è la vita, banalmente il bisogno di mangiare e di un tetto sotto il quale dormire. Così Terzani accetta la proposta dell’Olivetti, azienda florida e all’avanguardia, e inizia a viaggiare con il compito di reclutare nuovi laureati nelle filiali europee e internazionali (Giappone, Sudafrica…).
Ancora una volta: non si accontenta. Così prende l’aspettativa e, grazie a una borsa di studio, si trasferisce a New York presso la Columbia University. Sono gli anni Sessanta e gli Stati Uniti sono nel pieno di una rivoluzione culturale. L’attenzione di Terzani, tuttavia, è altrove, anche altrove. A Oriente, al gigante cinese di cui studia lingua, politica e storia.  
Nel 1969, dopo la seconda laurea, rientra in Italia e lascia definitivamente l'Olivetti, dove avrebbe un avvenire assicurato, e cerca un'occupazione come giornalista. E ha la fortuna e il talento, comunque il tempismo, di collaborare come pubblicista per "Il Giorno", dove conosce intellettuali del calibro di Gianpaolo Pansa, Natalia Aspesi e Bernardo Valli.

 

Ma non gli basta: ha annusato il mondo e chiede di andare all’estero. Il quotidiano milanese, però, non ha bisogno di corrispondenti dall’Asia. Terzani non batte ciglio: si dimette (pur mantenendo una collaborazione esterna) e, visto che parla le lingue (francese, inglese, tedesco, portoghese e soprattutto cinese) comincia a girare le redazioni dei più noti quotidiani europei alla ricerca di un’occupazione. La trova presso "Der Spiegel", il settimanale più venduto di Germania. Un contratto da freelance con l’apertura di un ufficio a Singapore e la copertura del Sud-est asiatico.
In pochi anni conosce e racconta Singapore, Hong Kong, il Vietnam in guerra con gli americani, la Cambogia dei khmer rossi… Nel 1980, finalmente, corona il suo sogno e si stabilisce in Cina, a Pechino : è il primo corrispondente di un magazine occidentale. Oltre a essere il primo giornalista occidentale processato, arrestato, condannato per “crimini contro-rivoluzionari”, visto che suoi articoli raccontano di un regime ingiusto e sanguinario, che ha tradito le illusioni che ne avevano accompagnato l'ascesa, nelle quali si era cullata una generazione. Dopo un mese di “riabilitazione”, grazie all’intervento del presidente Pertini, è rilasciato ed espulso dal Paese. Per sempre. E per lui, che lo ama da sempre, è uno shock terribile. Dal quale non si riprende. Nonostante le nuove esperienze in Giappone (dove assiste al trionfo del consumismo) e in Russia (dove osserva il crollo del regime sovietico).
Dal 1994 al 1996 risiede a Delhi, in India, assieme alla famiglia. È un mondo che lo affascina. Ma che non basta: in agosto, dopo venticinque anni di lavoro e più di duecento reportage lascia “Der Spiegel” e sceglie il pre-pensionamento.  
Nella primavera del 1997 scopre di avere un cancro. È una botta. Che diventa un’occasione per interrogare la malattia e il senso della vita.
Due anni più tardi si isola dal mondo, che ha viaggiato e calpestato in lungo e in largo, e si ritira nell'Himalaya indiano.
Si spegne il 28 luglio 2004 a Orsigna, sull’appennino tosco-emiliano, dove termina il suo viaggio per il mondo.