Sant'Antonio di Padova
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Il nome originario del grande taumaturgo e predicatore sant’Antonio di Padova è Fernando Bulhão, nato a Lisbona da una nobile famiglia,
che – forse a causa della semiomonimia – pretendeva di discendere da
Goffredo di Buglione. Si tramanda, anche grazie alla testimonianza del
notaio e cronista padovano Rolandino de’ Passeggeri, che suo padre era
Martino Alfonso, cavaliere, e sua madre Maria. Ignota la sua data di
nascita: ma dal trecentesco Liber miraculorum se ne è dedotta quella del 15 agosto 1195,
che è tradizionalmente tramandata. Poche le notizie sui suoi primi anni
di vita, per i quali attingiamo alla biografia più antica, la Vita prima o Assidua,
compilata da un anonimo frate appena a un anno dalla morte del santo e
tratta in gran parte, a quel che il suo autore testimonia, dalle memorie
di Soerio II Viegas, vescovo di Lisbona tra 1210 e 1232.
Le congetture dei biografi posteriori, basate in parte sulla notizia –
verosimile, ma tutt’altro che certa – dei suoi illustri natali, in parte
sul topos della giovinezza traviata, e probabilmente sull’analogia rispetto alla vita di Francesco d’Assisi, hanno tracciato l’ipotetico ritratto di
un giovane avviato alla carriera delle armi e tentato dal lusso e dal
peccato, che però finisce con lo scegliere con decisione la via della
testimonianza di fede. In effetti, sembra che egli fosse quindicenne quando, nel 1210, venne accolto tra i canonici regolari agostiniani
di Lisbona, titolari, per volontà di re Alfonso I del Portogallo e
della regina Mafalda di Savoia, dell’abbazia di San Vincenzo, appena
fuori città: un importante centro di studio e di apostolato.
I quindici anni erano ordinariamente, nel XII secolo, quelli in cui si
veniva anche armati cavalieri e insomma quelli della maggiore età.
Considerando che si dice fosse il primogenito, una condizione che di
solito disponeva a raccogliere l’eredità familiare e quindi a restare
nel mondo, dietro la sua scelta religiosa potrebbe effettivamente esserci una ferma vocazione. Che il giovane Fernando si fosse rifugiato entro le sue mura può adombrare sul serio una scelta fatta, almeno inizialmente, contro la volontà familiare, o almeno paterna.
Che in effetti ci fosse una certa tensione sembra confermato dal
racconto di frequenti visite di amici, che distoglievano Fernando dalla
preghiera e dallo studio (e che forse erano latori di istanze volte a
farlo rientrare nel suo ambiente originario). Egli riuscì poi a farsi
trasferire in un’altra casa agostiniana, Santa Croce di Coimbra.
La
vita della comunità agostiniana di Coimbra era però turbata dalle
tensioni interne delle quali era a quel che sembra responsabile un
priore corrotto, a nome Giovanni. Stanco d’un clima disordinato e comunque inquieto, e d’altro canto sconvolto per le notizie che venivano dal Marocco – dov’erano stati martirizzati i cinque frati francescani
Berardo, Pietro, Ottone, Adiuto e Accursio, ch’erano passati per il
Portogallo dove erano stati ben accolti dalla regina Urraca che aveva
affidato loro l’eremo di Sant’Antonio di Olivares – decise di passare nel 1220 al nuovo Ordine, assumendo il nome del patrono di quel primo insediamento francescano lusitano. Il passaggio dagli agostiniani ai francescani non dovette essere indolore.
I suoi ex confratelli gli rimproverarono probabilmente il peccato di
superbia: aveva sete di santità, cioè sete di gloria. Dal canto suo,
Antonio sentiva semmai con forza la vocazione alla predicazione presso gli infedeli e al martirio,
sul modello dei cinque frati minori uccisi in Marocco. Si indirizzò
pertanto al suo diretto superiore, fra Giovanni Parenti, allora
provinciale di Spagna e del Portogallo, che aveva incontrato il giorno
della traslazione all’eremo di Olivares dei resti dei martiri del
Marocco e che l’aveva accolto nell’Ordine dei frati Minori: gli confidò
il suo desiderio e ottenne il permesso di partire. Nell’autunno del 1220 s’imbarcò con un confratello, fra Filippino di Castiglia, per il Marocco.
Ma la vicenda africana si sviluppò in un modo molto diverso da com’egli
avrebbe voluto. Colpito da malaria, si lasciò convincere a rientrare in
Portogallo: ma, durante il viaggio di ritorno, una tempesta lo spinse
sulle coste della Sicilia orientale. Lì, dai confratelli messinesi, egli
apprese che Francesco stava convocando i frati alla Porziuncola di Assisi
per il Capitolo generale di Pentecoste del 1221, quello durante il
quale sarebbe stato presentato il testo della Regola. Decise pertanto di
recarsi a Assisi, insieme con i francescani di Messina, e incontrare
finalmente il fondatore.
È
molto probabile che in realtà non vi sia stato alcun incontro diretto,
in quell’occasione, tra Francesco e Antonio. Ma il frate portoghese
entrò comunque in rapporto con fra Graziano, ministro
provinciale di Romagna, che lo accolse con lui e lo destinò all’eremo di
Montepaolo tra Predappio e Castrocaro, sulle colline che da
Forlì guardano verso la Toscana. Lì condusse l’esistenza del novizio,
svolgendo lavori umili e pesanti: ma sembra che quasi per caso gli capitò di predicare, senza alcuna esperienza,
nella cattedrale di Forlì, durante la quaresima o (secondo altri) alla
fine del 1222. L’impressione provocata dalla sua spontanea eloquenza –
nutrita tuttavia dai severi studi condotti nel decennio dell’esperienza
presso i canonici agostiniani – fu tale e tanta ch’egli divenne di colpo famoso:
e pare che proprio da Assisi giungesse l’ordine di utilizzare da allora
in poi le capacità del frate portoghese nella predicazione.La
congiuntura esigeva in effetti abili e colti predicatori. Ormai la lotta contro il catarismo si era scatenata dappertutto:
e, dal momento che i propagandisti catari erano infiltrati tra gli
oppositori politici del papato, nelle città comunali le polemiche
politiche e le controversie religiose s’intrecciavano e si mischiavano.
Ma Antonio era fermamente convinto che, per adeguatamente contrastare gli eretici che disponevano di abili predicatori, fosse necessaria una preparazione teologica che mancava quasi del tutto ai preti secolari, la pessima taciturnitas
dei quali era tristemente celebre, ma anche ai frati minori condotti
all’ignoranza dalla loro stessa dedizione alla povertà assoluta. Su
questo punto, Antonio entrò in contrasto con Francesco che, alla fine,
dovette tuttavia cedere alle insistenze di quel portoghese ostinato che
egli definiva “il suo vescovo”: e gli consentì di fondare nel 1223 il primo studentato teologico francescano a Bologna, presso il convento di Santa Maria della Pugliola.
In quell’anno, l’attività di Antonio come predicatore fu infaticabile:
aveva ricevuto l’incarico di lavorare in un vastissimo territorio
comprendente la Romagna, l’Emilia, la Marca trevigiana, la Lombardia e
la Liguria. Il suo primo obiettivo fu la città di Rimini, dove forte era la presenza ereticale: qui ebbero luogo i primi celebri miracoli di Antonio, come quello d’una povera mula
che il padrone, un eretico, aveva affamato, per offrirle poi una ricca
porzione di biada dinanzi al santo e sfidare quest’ultimo a distoglierla
dal pasto; ma l’animale, trascurando il cibo, s’inginocchiò dinanzi a Antonio e all’eucarestia
ch’egli recava. Il miracolo s’inscrive nell’ambito dell’impegno della
Chiesa di quegli anni a diffondere l’adorazione del mistero eucaristico,
negato dagli eretici. Un altro celebre miracolo fu quello della predicazione ai pesci alla foce del fiume Marecchia, pesci che il santo convocò ad ascoltarlo in sostituzione degli uomini perché gli eretici fuggivano il confronto con lui.
La fama dell’eloquenza di Antonio e dei miracoli che ne accompagnavano
la predicazione convinse papa Onorio a inviare il frate in Francia, dove
la lotta contro i catari era all’acme. Antonio giunse in terra
di Francia nel tardo autunno del 1224 per rimanervi circa un biennio,
predicando soprattutto nelle terre dove i catari erano ancora più forti,
cioè in Provenza, Linguadoca e Guascogna. Lì, egli si scontrò, come in
Italia, non solo con l’agguerrita preparazione dei propagandisti eretici
– tuttavia ormai fiaccati dalle armi crociate – ma anche e soprattutto
con l’ignoranza e la corruzione del clero della Chiesa ufficiale:
e non esitò a rinfacciarle ai prelati riuniti, nel novembre del 1225,
nel sinodo di Bourges. Il padre provinciale francescano di Provenza, il
fiorentino Giovanni Bonelli, lo nominò dapprima guardiano del convento
di Le Puy e quindi custode (cioè padre superiore) dei conventi del
Limousin.
Tuttavia, il suo non fu un soggiorno pacifico e sereno.
Continuava a predicare, e lo faceva con ardore e anche con energia, in
una città percorsa dagli odi di parte, e al tempo stesso caratterizzata
dall’opulenza di alcuni e dalla miseria di troppi. Predicava contro le fazioni politiche, contro la violenza, contro l’usura. È rimasta famosa la
quaresima dal 6 febbraio al 23 marzo del 1231, che fu il momento più
alto e intenso di tutta la sua prestigiosa vita di predicatore e di
taumaturgo: tanto forte fu l’effetto delle sue parole e dei
suoi miracoli, che egli giunse a determinare anche l’inserzione di
alcune norme a favore degli indebitati a causa dell’usura negli statuti
cittadini. Il suo unico smacco fu un incontro, a Verona, con Ezzelino
III da Romano, cui egli si era rivolto per intercedere a favore di
Rizzardo di Sanbonifacio, che il fiero signore ghibellino aveva fatto
imprigionare nonostante fosse suo cognato. Tuttavia, Ezzelino rispettò
il saio di Antonio: e ciò, da parte sua, non era poco.
Stanco, il santo era solito
ritirarsi sempre più spesso una quindicina di miglia fuori Padova, a
Camposampiero, dove sua residenza era un grande albero, un noce. Lì compì alcuni famosi miracoli, rivolti specie a risanare bambini; e lì fu visto appunto, una volta, cullare tra le braccia il Bambino Gesù.
Fu lì che il 13 giugno 1231 lo colse un malore; si cercò di
trasportarlo a Padova, secondo i suoi desideri, ma non ce la fece a
giungere in città. Passò infatti da questa vita all’eternità mentre era
ricoverato ad Arcella, nel convento delle clarisse. La gente del posto
ne contese il corpo, armi alla mano, ai padovani: e solo il 17
successivo, grazie alla mediazione del vescovo e dei francescani, fu
possibile trasportarlo in Santa Maria Mater Domini per la sepoltura.
L’arca di marmo nella quale fu deposto divenne immediatamente meta di continui pellegrinaggi, che non si sono mai arrestati fino al tempo presente, e in occasione dei quali si sono registrati vari miracoli. Acclamato santo “a furor di popolo”
ad appena un mese dal trapasso, Antonio fu canonizzato nella cattedrale
di Spoleto il giorno della Pentecoste del 1232 in presenza di papa
Gregorio IX. Nel 1263, mentre ministro generale dell’Ordine era
Bonaventura da Bagnoregio che presiedette alla translatio, Antonio
ricevette definitiva dimora nel nuovo santuario, che gli era stato
edificato accanto all’impianto della chiesa di Santa Maria Mater Domini.
Pio XII, che nel 1946 ha annoverato sant’Antonio tra i dottori della Chiesa cattolica, gli ha conferito il titolo di doctor evangelicus,
considerando la ferma e costante adesione al Vangelo nel tessuto delle
sue prediche. La grande basilica antoniana di Padova viene comunemente
ricordata in città come “il Santo”. Antonio viene onorato dalla Chiesa
cattolica il 13 giugno; a Padova, in occasione della ricorrenza,
si svolge un’imponente celebrazione con una grande processione, a cui
partecipano innumerevoli pellegrini.
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