"Non di solo pane vive l’uomo": l'Expo, la Chiesa, il nutrimento
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Il rapporto tra cibo e religione è talmente stretto, antico e radicato che approfondirlo significherebbe ripercorrere la storia dell’umanità (e oltre), e chiamare in causa una molteplicità di categorie (spirituali, antropologiche, persino igienico-sanitarie).
Gli obblighi e i tabù riguardano tutte le religioni, dal cibo kashèr (“adeguato”) degli ebrei a quello halāl (“lecito”) dei musulmani fino al presunto vegetarianismo dei buddhisti.
In un certo senso, la religione cristiana è meno vincolante: al di là di alcune occasioni (ad esempio il venerdì santo) non prescrive regole o divieti, ma si limita a invitare alla moderazione e a condannare la gola (intesa come passione spropositata, come moto edonistico e immotivato).
Per questa ragione la presenza della Santa Sede a Expo 2015 non deve sorprendere né, men che meno, indignare. Al contrario: il padiglione vaticano (settecento metri quadri, privi di iniziative o prodotti commerciali) vuole essere uno spazio di riflessione, una provocazione, “una spina nel fianco”, dice il cardinale Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, “a quella che si annuncia come una vera e propria fiera del cibo”.
Sottrarsi sarebbe stato pavido oltre che irrealistico, visto che, dice l'arcivescovo di Milano, Angelo Scola, ad Avvenire, “siamo figli di un Dio incarnato, perciò ci interessano tutte le manifestazioni dell’umano".
Ciò che conta è la posizione che si assume, il messaggio che si comunica. Che è quello che titola e tappezza l’intero edificio: “Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”, un’affermazione radicata nella Scrittura. Che rimanda a un duplice livello di lettura.
Prima di tutto la Santa Sede intende sottolineare il valore simbolico del cibo.
L’uomo (nella sua interezza, come totalità dell’io) si nutre sia di cibo materiale che di spiritualità e cultura, di quel “cibo dell’anima” che lo eleva e rende possibile il convivium, l’incontro, visto che, dice fratel Manicardi, vice-priore della Comunità di Bose, “a tavola non si condivide soltanto il cibo, ma sguardi, parole, sorrisi, cioè il senso della vita sostenuto dal cibo stesso: mangiare insieme è una dimensione che apre alla comunione”.
Non è un caso che la prima manifestazione pubblica di Gesù, nato in una mangiatoia a Betlemme (letteralmente “Casa del pane”), sia alle nozze di Cana, di fronte a un banchetto: “Il luogo in cui Gesù annuncia la comunione di Dio con gli uomini”, continua Manicardi, “non è uno spazio sacro. E non è nemmeno un tempo separato e sacro. Egli parla e agisce nel quotidiano”.
In questo senso il cibo, dono divino ed elemento del Creato trasformato dall’uomo (che non si limita a riceverlo, ma lo manipola e lo trasforma – producendo cultura e continunando in qualche modo l’opera creatrice), è il luogo privilegiato dell'incontro con Dio.
Questo non significa trascurare né men che meno sottovalutare l’aspetto concreto, materiale del cibo. O, meglio: la sua mancanza.
La “fame del mondo”, per dire, è un’espressione sentita e risentita. Al punto che, ormai, non ci impressiona. Anzi, nel tentativo di definire il fenomeno lo cristallizza, ce lo rende lontano. Lo annacqua, lo anestetizza. Come fosse una realtà scontata, ovvia, alla quale dobbiamo rassegnarci.
Per questo, per comprenderne la portata, facciamo affidamento sui numeri.
Eccone alcuni:
-nel mondo 800 milioni di persone non hanno abbastanza da mangiare
-ogni giorno muoiono circa 24.000 persone per fame o cause correlate
-ogni anno muoiono più di tre milioni di bambini sotto i cinque anni
-la fame costituisce il primo rischio sanitario al mondo e uccide più di aids, malaria e tubercolosi messi insieme.
Ora, i numeri hanno questo problema, che sono poco affascinati.
Sono freddi, distanti. Rischiano di sembrare un’astrazione.
Non è così: a ogni numero corrisponde una vita (quella della madre che sente il figlio morire tra le braccia, quella del padre che si spacca la schiena e si umilia pur di salvarlo, quella del giovane che non ha nemmeno la forza di sperare figurarsi reagire). E una vita, persino la più misera e sfortunata, merita di essere difesa e tutelata.
"La fame nel mondo", dice papa Francesco, "è uno scandalo":la presenza della Santa Sede a Expo 2015 serve a ricordarlo.
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